Stefano Pasini

   La Mini Cooper 'S' 

 

Era un bel po' di tempo che un'automobile non suscitava emozioni gioiose in quelle anime indurite, crude e ciniche conosciute come "i giornalisti dell'automobile". Per chi è abituato a recensire, giorno dopo giorno, auto che vanno dalla Fiat Seicento alla Lamborghini Murciélago utilizzando più o meno gli stessi metri di giudizio, trovarsi fra le mani un'automobile che spinge francamente al sorriso è un'esperienza quasi devastante. Suscita uno sgomento profondo, che porta a dichiarazioni sconnesse, spesso impreviste, talvolta addirittura scurrili.

 

Leggete ad esempio cosa ha scritto Tony Swan: “Sì, la sospensione è rigida quasi come quella di un go-kart. D’accordo, il motore non è esattamente la punta di diamante della BMW. Ma era da quando la Honda ha smesso di fare la CRX che non si trovava così tanto divertimento stipato in un package così compatto….Prenotatemene una. ” Eric Le Francois: “Come trattenersi dal fare un grande sorriso quando si vede la palette di colori proposta per la Mini, che rivaleggia per audacia con quella degli Smarties ?” Oppure Csaba Csere, guru tecnico di Car & Driver: “….L’emisfero destro del mio cervello non ha dubbi circa il suo cruscotto creativo, i favolosi pannelli della portiera con il loro rivestimento postindustriale in ferro. Come oggetto di ‘rolling fashion’, la Mini è meravigliosa.” E John Phillips? “È semplice distinguere le due Mini: la ‘S’ è quella con la buchetta della Royal Mail sul muso”.  Preferite Daniel Pund? “….La Mini Cooper S (ed anche la Mini meno potente) è un’auto di valore perché è incredibilmente divertente. Ricorda l’emozione di un giro su un velocissimo go-kart…. È un trampolino. È la risata contagiosa dopo che si sente qualcuno che scoreggia in chiesa. Se non amassimo queste emozioni, molto probabilmente faremmo meglio a recensire spazzolini da denti elettrici”.

 

 

Forse è normale che si reagisca tanto emotivamente quando si affronta l’erede designata di un’auto tanto straordinaria. La prima Mini fu insieme la grande protagonista della ‘Swinging London’ degli anni ’60 e la mattatrice dei Rallye di Monte-Carlo (ci volle la Porsche 911 di Waldegaard per interromperne la memorabile dominazione, nel ’68), l’utilitaria per andare tutti i giorni al lavoro e la base per le più bizzarre e complesse elaborazioni, il cavallo di battaglia di Peter Sellers e Paddy Hopkirk, Timo Makinen e Britt Ekland, Tony Fall e Gorge Harrison. E poi era la 'mini' su quattro ruote nell'era della 'mini' di tutt'altro tipo, quella inventata da Mary Quand.... I maschi di tutto il mondo impazzirono per ambedue, ma la BMC riuscì a vendere la sua 'mini' indifferentemente ad ambedue i sessi, con rilevanti risultati.

 

 

Il successo era iniziato nel 1959 con la ‘Austin Se7en’,  ma sarebbe forse rimasto tutto sommato confinato negli ambiti delle auto di importanza passeggera se non fosse intervenuto un signore chiamato John Cooper, che proprio in quell'anno, avendo vinto il campionato mondiale della massima formula automobilistica, stava cercando nuovi stimoli in altri settori.

 

Cooper costruiva anche auto per la cosiddetta ‘formula Junior’, per la quale utilizzava proprio il motore quattro cilindri della BMC, ovviamente elaborato e fortemente potenziato; fu quindi fin troppo facile, quando si iniziò a riconoscere la bontà dei comportamenti stradali della vetturetta progettata da Alec Issigonis, infilare dentro a quel piccolo vano proprio uno dei motori Cooper da corsa. Anche nella versione ‘addomesticata’ scelta per la Mini, quel motore produceva 55 cavalli, più o meno il 40% in più del modello base, cosa che permetteva di ricavare prestazioni straordinarie. La formidabile carriera sportiva della Mini iniziò proprio da lì, dalla brillante intuizione di un costruttore celebre che, nel 1960, aveva qualche motore da formula Junior di troppo.

 

 

Nel Marzo del ’63 nacque finalmente anche la Cooper ‘S’, con un motore da 1.071 cc., riconoscibile dalla piccola lettera ‘S’ sul cofano anteriore (un piccolo stemma metallico da due lire che a noi, incidentalmente, manca moltissimo). La BMW ha salvato dalla catastrofica avventura Rover solo questo marchio e questo progetto, un magnifico schiaffo in faccia a chi, in primo luogo gli inglesi, la Mini originale l’avevano fatta morire di lenta, agonica consunzione fra imbellettamenti di bassa lega e cialtronissime ‘trovate’ commerciali.

 

La nuova Mini è un gioiellino soprattutto tedesco (bene) e costruito a Oxford; il modello base è la ‘One’, poi si sale con la ‘Cooper’; rispetto a questa, la Cooper ‘S’ versione 2002 presenta differenze soprattutto sotto al cofano, e si sentono tutte. Il vantaggio di avere attaccato un compressore volumetrico al quattro cilindri in linea già noto delle versioni ‘normali’ ha provocato molti effetti benefici, il primo dei quali è un aumento di potenza del 40%. La Cooper ‘S’ ha dunque ben 163 cavalli a disposizione, e grazie a questa potenza può davvero andare da zero a 100 chilometri all'ora in soli 6,9 secondi. Una bella prestazione, per un’auto che con i suoi 12 quintali di peso non è sicuramente particolarmente leggera; per gestire al meglio questa potenza è stata anche riveduto l'assetto, i cerchi, che riprendono lo stile dei classici Minilite, sono da 17 pollici, le sospensioni sono più basse e rigide, tutto è, dunque, più sportivo, più adatto a prestazioni di alto livello.

 

 

Esteticamente, è rimasta l'impronta dei cromosomi della Mini: ‘WAEC’, ‘Wheel At Each Corner’, cioè una ruota ad ogni angolo della macchina, un passo abbastanza lungo da dare una discreta abitabilità all'interno, muso tondo e coda corta, anzi, pressoché inesistente, e al diavolo il bagagliaio. È uno stile inconfondibile, bellissimo e sempre attuale. Un merito che va riconosciuto a chi ha disegnato la nuova Mini, e soprattutto la ‘S’, è quella di non avere tentato di modernizzarla in maniera troppo seriosa, ma di averne mantenuto un carattere tutto sommato abbastanza giocoso, dandole un effetto vagamente da cartone animato che si attaglia in maniera perfetta allo spirito emozionale di questa automobile.

 

Questo spirito goliardico è un po' sfuggito di mano all'interno dell'abitacolo, dove chi ha disegnato la strumentazione ha decisamente ecceduto nell'attingere allo scatolone della Fisher-Price e ha adottato uno stile fin troppo giocattolistico per quadranti e lancette (vedremo poi che però non tutti sono d’accordo sul nostro parere da grigi calvinisti). Risolleva la situazione la bellezza della serie di levette sulla plancia, la finitura generale dei pannelli metallici e la generale correttezza della posizione di guida. La visibilità esterna, grazie ai montanti di piuttosto sottili del tetto, è ottima e in ogni direzione, i comandi sono posizionati più che bene, c'è anche spazio per i piccoli oggetti.

 

 

Non ci sono parole per descrivere l'interesse che una Cooper ‘S’ suscita, non solo fra gli appassionati, ma più o meno fra tutti. Le ragazze sembrano apprezzare in maniera particolare la sagoma familiare, lo spirito sorridente, ma forse anche la connotazione di macchina sempre un po' elitaria con la quale la Mini si presenta al mondo; come già quattro decadi orsono, la Mini è qualcosa di speciale, di diverso, non assomiglia a nessun'altra automobile in circolazione, è immediatamente identificabile e come conseguenza ci si aspetta anche che chi la guida sia qualcuno di particolare, appena un po' fuori dal comune. Magari non è sempre vero, ma la Mini trasmette questa impressione e sembra che attiri, a seconda della versione, tre tipi di versi di clienti. La ‘One’ è per le ragazzine giovani e vispe, la Cooper per il ragazzo alla moda, che vuole l’oggetto di ‘rolling fashion’, la Cooper ‘S’ è per l’appassionato serio, che ha in garage anche altre belle auto di pregio, moderne e d’epoca. Forse per questo la ‘S’ trasmette un’impressione particolare, come se fosse un bel gioiello o comunque una costosa, raffinata stravaganza i cui compratori debbono per forza essere persone di gusto e comunque con il diritto-dovere di dimostrare sempre preferenze stimolanti, lontane dalle avvilenti considerazioni pratiche che dominano la scelta di qualsiasi auto ‘normale’.

 

Forse l'equivoco sta proprio nel fatto che, se la Mini di quarant'anni fa era nata come utilitaria, quella di oggi è tutt'altra cosa; senza parlare di prezzo o di consumi, dati pleonastici per chi guarda ad una ‘S’, è chiaro che il pregio generale dell'oggetto, la cura nella sua costruzione, l'attenzione allo spirito dell'intera automobile, la preoccupazione di inseguire l'emozione prima ancora della razionalità fa di questa auto tutto fuorché un’utilitaria. Ma d’altra parte anche la Mini d’antan fu subito una piattaforma per le elaborazioni stilistiche dei grandi individualisti del momento: la presentazione della Mini costruita per Peter Sellers da Radford, con portellone posteriore e fiancate in canné parigino, fu un evento cui accorse mezza Londra, i Beatles giravano in Mini dagli improbabili colori, Broadspeed, Ogle, Marcos e Hooper ne fecero le loro versioni. Poi c’erano la Twini (un motore davanti e uno dietro, pericolosa come un ottovolante messicano ed altrettanto divertente), la Mini ‘Sprint’ (abbassata di 3-5 pollici fra linea di cintura e tetto….), e così via. Una lucida pazzia giocosa, di cui l’attuale ‘S’ raccoglie volentieri il testimone.

 

 

Questo spirito si capisce ancor meglio quando si gira per la città; l’assetto è rigido, la ‘S’ scuote, si sente ogni buca e ogni tombino, le gomme 205/45 dal fianco ribassato sui bei cerchi da 17” trasmettono al sedile tutte le asperità del fondo stradale e scatenano un istantaneo risentimento nei confronti di quei cialtroni che curano i lavori pubblici della propria città, i quali, è chiaro, dovrebbero porre più cura nel lustrare l’asfalto cittadino in vista dell’arrivo di una ‘S’ (o di una Porsche GT2, è chiaro, ma questo è un altro discorso). Anche i semafori, d'altra parte, sembrano troppo lunghi, perché non si vede l’ora che venga il verde e si possa piantare il pedale destro al pavimento e schizzare via da quelle sovietiche luci rosse.

 

Che questa Cooper ‘S’ vada davvero da zero a cento in meno di 7 secondi, o forse qualcosa di più, è vero, ma non è molto importante. Quello che vale veramente è il senso di trascinante partecipazione meccanica del suo motore supercompresso, che, grazie alla progressione dell’erogazione di coppia fornisce un’accelerazione avvertita soggettivamente come forte e continua, con un incipit battagliero sottolineato, forse creato, dal ringhio metallico basso ma ben avvertibile del compressore. Una musica eroica, lamento di un congegno che ha illustri antenati sotto ai cofani delle Bentley 4,5 litri ‘Blower’ o nel muso dei Supermarine Spitfire della ‘Battle of Britain’. È forse ironico che questi simboli dell'Inghilterra classica e valorosa facciano da autorevoli lumi a un'automobile progettata in Germania per un proprietario tedesco, eppure anche questo non appare una stonatura: lo stile è sempre inglese, come il luogo in cui la Mini viene costruita, di tedesco in una Cooper ‘S’ c'è soprattutto il gusto per un nuovo disegno postmoderno degli interni e la qualità generale di assemblaggio. Anche se, nelle immortali parole di Jeremy Clarkson, “….infine, abbiamo i sedili. Sono abbastanza confortevoli, ma quando avete fatto entrare qualcuno sul sedile posteriore provate a rimettere il sedile anteriore nella posizione giusta! Vorrei conoscere chi ha disegnato questo sedile, in maniera da potergli infilare un mazzo di bastoncini da cocktail negli occhi.”

 

Ma anche questo, forse, non importa. La Mini è un'automobile gloriosa perché va come il vento, perché ha un suono e uno scatto che incantano, perché è irrazionale e gioiosa abbastanza da sembrare, più che una gioiosa quattro posti con portellone, una 2 + 2 di classe, un po' come una Porsche 911: nel senso che, su certe automobili di stampo classico, in tre si è già una folla, e il sedile posteriore serve tutt'al più per sistemare qualche bagaglio supplementare per un weekend lungo e romantico. Questa soluzione, per inciso, si adatta perfettamente alla ridottissima volumetria del bagagliaio della Mini. Anche se abbiamo visto personalmente quattro adulti di alta statura entrare con grande disinvoltura in una Cooper ‘S’, assieme ad un bel cane di taglia media, e così compattati affrontare gioiosamente un viaggio di qualche centinaio di chilometri in questa formazione, non siamo sicuri che i gusti generali accolgano una simile soluzione con plauso plebiscitario.

 

 

Uscire dalla città metteva la vecchia Mini in condizione di dare battaglia, se si andava verso la collina, o di infliggere inenarrabili torture ai passeggeri, se si prendeva l'autostrada. Ora è tutto cambiato, la nuova Mini Cooper ‘S’ è velocissima, abbastanza confortevole, in autostrada si arriva a 200 all’ora rapidamente e in grande sicurezza, la stabilità è ottima e i freni mantengono un'elevata potenza anche quando sono pressati al limite. I suoi 163 cavalli si sentono tutti, lo sterzo è prontissimo e l'agilità è quella classica della vecchia Mini, cosicché ci si sente incredibilmente a proprio agio in ogni condizione, anche in autostrada. Va detto che è peraltro piuttosto facile farsi prendere la mano dalla ricetta che John Cooper aveva magistralmente confezionato quarantadue anni fa e che si dimostra ancora una volta straordinariamente affascinante, una piccola, tempestosa marea di cavalli in quel magnifico barattolino di carrozzeria che è la Mini.

 

Nell'esame del comportamento stradale generale della Mini non va dimenticato il fatto che l'equipaggiamento è molto buono, la climatizzazione ottima anche se il ventilatore e ogni tanto un po' rumoroso, che lo stereo in dotazione legge anche gli MP3, che tutti i comandi sono ben accessibili e generalmente abbastanza riconoscibili all'operazione, che i fari sono veramente molto potenti, che, insomma, tutta l’auto appare complessivamente ben pensata e ottimamente realizzata.

Insomma, cosa ne pensiamo? La parola ancora a Jeremy Clarkson: “…. In definitiva, le Mini è pensata male, costruita male, mal  confezionata, cattiva nelle curve e non buona nell'andare diritto, inoltre inutile come mezzo di trasporto perché anche se non si rompe, rimarrà senza benzina.

Eppure, io l'amo follemente. Mi sono offerto volontario per andare in paese a prendere il latte e sono ritornato a casa senza appositamente, solo per avere una scusa per uscire di nuovo. Ieri ho guidato fino a Londra per incontrare qualcuno che sapeva perfettamente che era morto.

Perché? Perché tutti gli svantaggi sono ampiamente compensati dalla sua bellezza. I cristalli delle portiere senza cornici. Il tetto bianco. I doppi tubi di scarico che emergono dal centro del paraurti posteriore. E dentro avete tutti quei favolosi interruttori e quei quadranti che sono completamente inutili per dirvi che cosa state facendo o quante andate veloci, ma sono bellissimi.” (Top Gear, Agosto 2002)

 

Noi naturalmente non siamo d'accordo sui quadranti, nè sul fatto che si rompa nè che abbia poca autonomia (è vero, ma non c'importa), nè che sia sottosterzante, ma sulla Cooper ‘S’, per il resto, andiamo perfettamente d'accordo con Clarkson. La amiamo follemente….

 

P.S.: in risposta a chi garbatamente mi informa che 'questa non è più la Cooper S di una volta', rispondo che sì, è vero, non lo è più, l'ho notato anch'io. I miti degli anni '60 non ci sono più e non abbiamo più voglia di comprare un'auto che non abbia servosterzo, ABS, airbag e climatizzatore; d'altra parte non ci sono più neppure Peter Sellers, Britt Ekland, George Harrison e i Beatles, sostituiti da Austin Powers, Britney Spears, Eminem e gli Oasis.... complessivamente, direi che nel settore automobilistico ci è ancora andata piuttosto bene.

 

Stefano Pasini, Bologna, 09.10.2002

 

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