Stefano Pasini

    Le prove su strada   

 

BMW Z8 (2000)

 

La plastica, secondo Roland Barthes, “…..è essenzialmente una sostanza alchimica”; egli si meraviglia del passaggio, che poteva osservare personalmente, fra “….da un lato la materia bruta, tellurica, e dall'altro l'oggetto perfetto, umano: e tra questi due estremi, niente, se non un tragitto, appena sorvegliato da un impiegato con un berretto, semidio, semi-robot.”. Curiosamente, un’aut

omobile che nasce nel rifiuto estremo della plastica come la BMW ‘Z8’ ricorda proprio queste parole, perché è anch’essa un po’ alchimica. Perché deriva da fusioni esoteriche e, a prima vista, non perfettamente comprensibili di componenti e materiali eterogenei, in parte inusuali; in questo caso la trasmutazione coinvolge la meccanica di una berline potentissima, violenta, sicuramente tellurica come la  magnifica ‘M5’, che però diventa, dopo un tragitto imperscrutabile nel tunnel di una qualche fabbrica bavarese, una roadster di stile impeccabile e di straordinaria eleganza.

 

Non è un mistero da poco. Come i bavaresi, senza colpo ferire, riescano a tirare fuori dal cappello simile colpi di teatro lascia sempre un po' interdetti. Dell'alchimista, i grandi sacerdoti del mito BMW hanno il gesto sacrale, privo di incertezze, che incanta l'appassionato e lo convince della bontà di queste operazioni; chiunque altro tentasse di accostarsi ad una simile ricetta rischierebbe inevitabilmente di scottarsi le dita. Come i sacerdoti che consigliavano ai Faraoni costose e drammatiche campagne belliche, anch’essi talvolta sbagliano, come nel disgraziato acquisto della Rover, pure sanno risollevarsi con forza sovrumana.

 

 “Davanti ad ogni forma terminale, la mente continua a porsi la materia primitiva come un rebus”. Barthes ha ragione, perchè nulla è più imperscrutabile, in un oggetto, di ciò che lo compone a livello elementare. Sotto al cofano di questa automobile potrebbe esserci qualsiasi motore, da un  4 a un 12 cilindri, ed è testimonianza della intelligente moderazione dei bavaresi che questi, pur potendo attingere ad un proprio sterminato arsenale motoristico, abbiano riservato a questa modello della ditta un gioiello a otto cilindri e 400 cavalli. Non un 12, non un 6, ma l’aureo, rotondo bilanciamento di un ‘V8’. Per le prestazioni, è sufficiente dire: quanto basta. Il limitatore interviene quando arriva ad una velocità che non è quella tecnicamente applicarle per questa automobile, è semplicemente un vincolo burocratico volontario. Dire a chi accarezza con l'occhio le forme di questa ‘Z8’ che essa può andare da zero a 100 chilometri all'ora in cinque secondi non vuol dire praticamente nulla, perché nulla aggiunge al fascino delle sue morbide curve, di una linea unica ed irripetibile.

Irripetibile? Sembra una parola grossa, visto che in fondo questa automobile assomiglia in maniera così diretta, evidente e fascinosa ad un antico classico della casa bavarese, la ‘507’ del Barone Goertz (1957). Quindi nulla è, almeno a Monaco, irripetibile. Tutto può essere ripetuto, a patto di evolverlo e di perfezionarlo per rendere la sua esistenza di un fenomeno funzionalmente positivo e non un semplice, stantio esercizio di copia.

 

Se la carrozzeria della Z8 è sensazionale, l'abitacolo appare perlomeno straordinario. Per una volta, i tecnici della Bmw hanno gettato alle ortiche la tradizionale prudenza stilistica e le loro granitiche, esemplari certezze ergonomiche, tuffandosi in una incredibile rivisitazione degli stilemi classici (metallo verniciato a vista, alluminio, pelle cucita a mano e strumenti illuminati dal centro verso le periferie, non viceversa, come le radio Zenith ‘Trans-Oceanic’ di un lontano tempo felice) incrociati in maniera veramente suggestiva con l'alluminio spazzolato, i colori chiari e l'aspetto generalmente essenziale del miglior mobilio disegnato da Philippe Starck.

Per evidente scelta progettuale, la Z8 è e rimane un'automobile sportiva con pochi compromessi; ma sotto ad una carrozzeria dallo stile cordialmente retrospettivo, c'è l’esaltante realtà prestazionale di una superautomobile a due posti secchi, con un bagagliaio non enorme e con ben  poco spazio per stivare piccoli oggetti nell'abitacolo. Certi tocchi, come la capote completamente in tela e non dotata di segmenti rigidi, hanno tutto il sapore di una affermazione di principio, della volontà di rispettare a tutti i costi gli stilemi classici della vettura sportiva scoperta più classica a dispetto di qualsiasi tentazione, per così dire, utilitaria.

 

Un altro tratto decisamente nobile di questa vettura è il rumore di scarico. Non è di aggressività marinettiana, non rode il morso con striduli freni; evoca l’immagine di un potenza, invece, lussuosa e morbida, da prodotto evoluto, non da ruvido prototipo da corsa. Dentro a questo abitacolo non troppo ampio ma neppure ristretto, che si calza come un guanto ma che non ha le spigolosità delle supercar all'italiana, che incanta per l'originalità dello stile anche a discapito della ricerca ossessiva della funzionalità, ci si sente in una creatura diversa da quello che è normale attendercisi dai tedeschi. Vagamente irrazionale, e proprio per questo ancor più irresistibile, la Z8 offre un'esperienza diversa da qualsiasi altra macchina, anche in certi dettagli, come il pulsante d'avviamento, che appaiono quasi troppo belli per essere veri.

Ma la caratteristica più incredibile della ‘Z8’ è forse un’altra, ed è la reazione di amore totale e completo che essa evoca in chiunque si trovi a guardarla, anche di sfuggita. Il girarsi continuo di teste, i sorrisi, i commenti convincono ben presto il guidatore ed il passeggero di una ‘Z8’ delle straordinarie qualità ammaliatorie della roadster bavarese; nonostante ciò, la reazione dei passanti al passaggio di una Z8 rimane sorprendente. Anzi, stupefacente. Lasciatelo dire a chi ha girato l’Europa in lungo ed in largo con le auto più estreme, Lamborghini, Aston Martin, Jaguar, Porsche o Ferrari: la Z8 è proprio un’altra cosa.

 

La prova del fuoco della fascinosità di un'automobile di questo livello estremo sta infatti nella reazione popolare quando si arriva in una località di villeggiatura di alto profilo (è chiaro comunque che l'aggettivo popolare, quando si parla della popolazione di Montecarlo, di Sankt Moritz o Forte dei Marmi, è puramente ed esclusivamente statistico). In queste località, dove si accumulano durante i titolari di patrimoni decisamente cospicui, le auto sono un must necessario ma inflazionato: le Ferrari vengono parcheggiati in doppia o tripla fila, ci sono più Aston Martin che nel cortile della fabbrica di Newport Pagnell e le Lamborghini meritano un secondo sguardo solo se sono di un modello particolarmente evoluto e feroce. Sembrerebbe una situazione senza speranza per un'automobile che porta un marchio, tutto sommato, molto legato alla produzione di grande serie; una produzione da quasi un milione di unità all'anno.

La dice quindi lunga sulla bellezza di quest’automobile il fatto che le persone si affollino sulla Z8, la circondino, la esaminino in dettaglio, spesso sorridendo. Le donne poi, in particolare le ragazze, sono le più interessate ed entusiaste, un segno benaugurante per la BMW: quello che alle donne piace, prima o poi gli uomini lo comprano….. e non vogliamo neanche sapere perché alle donne la Z8 piaccia tanto, non vogliamo neppure avere giustificazioni psicologiche sul valore percepito dell’auto, sul delicato significato sugli ormoni femminili della lunghezza del muso e del peso del libretto d’assegni del guidatore, né ci interessa sapere se la ragazza che quasi si stende su questo lungo, levigato cofano d’alluminio sappia che riferimenti culturali dovrebbe evocare. Quello che interessa, e un po' meraviglia, è che quando una Z8 viene parcheggiata a fianco di qualsiasi altra macchina non c'è competizione: tutti guardano solo ed esclusivamente la BMW. Sarà la sua area tutto sommato dolce, da bellissimo giocattolo, il fatto che non ha le pretese di violenta, bellica aggressività di una Lamborghini nè l’arroganza sfrontata di una Ferrari, fatto sta che la gente la ama e non ha paura di farlo vedere.

Abbiamo provato anche a cambiare area geografica, e, nell’ambito di un modesto esperimento personale, abbiamo girato mezza Europa con una Z8: esperimento effettuato, come si può immaginare, con diuturno sacrificio personale e sfidando in maniera virile, nel nome della scienza, la valanga di imbarazzante popolarità che questa BMW tende a procurare al suo guidatore e al relativo passeggero. La situazione popolare non è, però, cambiata. Se a Forte dei Marmi, davanti alla Capannina, la Z8 è stata accerchiata da ragazzi molto per bene ed eleganti, sostanzialmente impazziti per questa stravagante BMW, e questa reazione era in parte prevista, a Bayreuth, tempio della religione wagneriana, persino i poliziotti si fermavano a guardarla con ampi cenni ammirativi; e non ci sono quasi parole per raccontare l’emozione del ritorno alle undici di sera in albergo, dopo una meravigliosa rappresentazione dei “Maestri Cantori di Norimberga”, capote abbassata, ventitré chilometri nella foresta bavarese verso uno degli hotel più lussuosi ed originali di tutta la Germania, il ‘Pflaum-Posthotel’ di Pegnitz.

 

A Baden-Baden, Hannover e Lahr le scene si sono ripetute; a Kippenheim, dove si trova una fabbrica che in passato è stata un tempio della fabbricazione migliore del mondo, i leggendari EMT, la Z8 è stata guardata con la ponderata ammirazione di chi, abituato a costruire macchine di qualità, sa apprezzare qualsiasi oggetto di valore tecnico assoluto.

Berlino viene subito dopo Hannover, e anche qui, in questa metropoli un tempo caratteristica ed ora ferocemente spersonalizzata dalle operazioni omogeneizzate ed impersonali di Piano e Foster (un’altra vendetta storica contro chi, nel 1945, perse la guerra e deve quindi abbandonare la sua antica identità guglielmina?), la Z8 miete vittime; estimatori ed appassionati la scrutano con avidità, anche nel grande garage sotterraneo sotto al miglior ristorante reperibile nell’area di Potsdamer Paltz, il trionfo della tipicità tedesca: Tony Roma, ribs e French Fries all’americana con molta salsa e troppe foto di un grosso cuoco nero sparse un po’ dovunque. Il palazzo della Mercedes (ufficialmente crediamo che si dovrebbe chiamare DaimlerChrysler) ha l’organica bellezza, il colore complessivo e la fine trama di un cestino di vimini alto quaranta, cinquanta metri; il paragone con l’ormai vetusto ma straordinario complesso delle quattro torri BMW a Monaco è depressivo.

 

Forse la Z8 non dovrebbe stare a Berlino, anche se è bello vagare pigramente dietro al grande astruso palazzone giallo della Filarmonica sotto la pioggia battente apprezzando la tenuta perfetta di una capote degna di ogni lode, sicuri del fatto che se il Maestro dei Maestri, Herbert von Karajan, ci avesse visti lì sotto sarebbe sceso ad applaudire anche lui alla nuova BMW: lui, che di macchine belle e veloci si intendeva quasi (quasi, s’intende) più che di musica, orchestre e contratti discografici. Rimediamo all’assenza di HVJ con un’altra visita sacrale, Salisburgo, il Festspielhaus dove Muti, la mattina del giorno di Ferragosto, trascina i Wiener Philarmoniker in una Sinfonia numero 3 di Robert Schumann, la poderosa ‘Renana’, con tutto l’impeto che egli sa sprigionare e che questa sinfonia pretende e merita. Formidabile, anche nella città che, tutta permeata di Mozart, sembrerebbe non poter regger l’aggressione di una così possente strumentazione. Anche in questo caso l’albergo un po’ lontano dal centro, il superbo ‘Schloss Fuschl’ di Hof, è la scusa per godersi un telaio superbo, l’aria aperta frizzante delle colline austriache ed il morbido, ovattato rombo dell’otto cilindri.

In un certo senso, ci dispiace che il ‘Goldener Hirsch’, l’altro nostro albergo preferito a Salisburgo, questo ancora più centrale della casa natale di Wolfgang Amadeus, non abbia posto: parcheggiare la Z8 davanti a questa chicca medievale, nella piazzetta dedicata proprio a Karajan, sarebbe stato un altro utile tassello dell’esperimento. Ma in una Salisburgo bizzarramente invasa da statue di mucche rifinite nelle maniere più bizzarre ad opera di artisti contemporanei, non sappiamo quanto il pubblico avrebbe potuto raccapezzarsi. Consoliamoci pensando che, se quest’anno non abbiamo trovato posto allo ‘Hirsch’ o all’ ‘Osteirrischer Hof’, almeno non abbiamo dovuto subire, come nel 1999, la suprema tortura della ‘Lulu’ di Berg, senza alcun dubbio l’opera più monumentalmente sgradevole che Iddio abbia mai mandato in terra e che, pure, trova ancora qualcuno che la mette in scena. Raramente, s’intende: eppure, sempre troppo spesso.

 

Sono tristezze che si dimenticano presto, percorrendo le lisce strade delle montagne attorno alla Salzach con una Z8. Il rombo pastoso del motore bavarese sembra fatto apposta per queste fessure tagliate fra neri boschi di abeti, pini e larici; il profumo della resina di questi alti alberi ci accompagna mentre ritorniamo nella zona dove fu ambientato il ‘Cavallino Bianco’ e dove ancora si respira un’aria absburgica vissuta con orgoglio modesto ma sincero, fra i castelli di caccia e i laghi di cui è cosparsa questa zona; e alla fine proprio qui si capisce che, per la sua fascinosa adesione a moduli estetici d’altri tempi, per le buone maniere che dimostra alla guida, ma anche per la insospettabile disponibilità al combattimento, la Z8 non assomiglia alla plastica ed il francese Barthes, in fondo, può tenersela stretta, la sua plastica. Lontana dalla Berlino snaturata da Foster e Piano, la Z8 si fa sberleffo della cupa dodecafonia di Lulu e ricorda molto più da vicino l’orgogliosa sicurezza dei migliori austriaci, non a caso tanto vicini ai bavaresi, che la dissennata ansia di internazionalizzazione di altri prodotti germanici d’oggi. Elegante e vagamente anacronistica, costosissima ma anche davvero pregiata, la Z8 è un gioiello pari ad una scultura; ringraziamo la BMW che ha avuto il coraggio di metterla in produzione.

 

(Bologna, 20 Novembre 2000)

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