Stefano Pasini

 

 

Hyundai Genesis

 

 


Difficile dire se questa ammiraglia Hyundai nasca da un anelito ai massimi sistemi o invece da un puro e semplice complesso di inferiorità. L'industria automobilistica coreana ha seguito fedelmente la lezione dei costruttori giapponesi, spesso nati dal nulla, magari come costole di enormi, poderosi imprese di costruzione navale piuttosto che edile o metalmeccanica. Da queste enormi imprese, le branche nate per costruire automobili, motociclette o veicoli commerciali hanno tratto sin dall'inizio grandi disponibilità finanziarie, una cospicua capitalizzazione e risorse tecniche molto generose. Questo ha portato, dopo l'inevitabile fase iniziale caratterizzata da prodotti sin troppo utilitari, goffi, poco attraenti, ad una rapida maturazione; poco per volta, anzi si potrebbe dire piuttosto velocemente, le automobili coreane sono diventate sempre più interessanti e complete, il tutto sulla base di una affidabilità totale che ha favorito la creazione di una rassicurante, solida base di mercato. Per tutti coloro che sono poco interessati all'estetica pura di un'automobile, chiedendo invece come qualità principale l'affidabilità al di sopra di ogni cosa, le Hyundai sono diventate i simboli indiscutibili di un rapporto qualità- prezzo semplicemente inattaccabile.
Bisogna peraltro riconoscere che fino adesso i tentativi di migliorare la parte stilistica di queste automobili è naufragata in una incomprensibile sovrapposizione di stili per cui molte auto coreane ricordano la vecchia battuta preferita di Alec Issigonis, ‘a camel is a horse designed by committee’. In soldoni, il cavallo è un purosangue elegante che non può che essere disegnato da un personaggio unico ricco di fantasia e di stile, che non insegue compromessi ma solo la pura bellezza, mentre ogni ottuso componente di un comitato vuole aggiungere qualcosa per soddisfare le più diverse esigenze e finisce quindi con il creare un cammello, animale lodevole ma perlomeno disarmonico. Avete mai visto un bel gasometro….?


Non importa: le vendite di Hyundai, come degli altri prodotti della stessa regione, si sono meritatamente guadagnate fette di mercato sempre più rilevanti. Il pubblico ha imparato ben presto ad apprezzare lo straordinario rapporto qualità-prezzo di queste vetture, dalle utilitarie fino alle berline e alle station wagon di medio livello, l’estensione della garanzia a tempi infiniti, l’affidabilità a prova di Panzerfaust o addirittura di mamma con bambini e cani, che è anche peggio. Grazie ad una ottima versatilità di insieme, e a un buon fiuto nell’individuare i segmenti di mercato dove posizionarsi, i coreani sono oggi una realtà importante livello commerciale, e con sette lunghi anni di garanzia, rappresentano automobili ideali per il consumatore.
Il buon successo commerciale nelle fasce basse e medie del mercato rappresentavano però una situazione che, più che altro a livello simbolico, nessun costruttore di automobili è disponibile a sopportare senza fare almeno un tentativo di elevazione sociale. Certo, vi presentate bene con dei vestiti generici, ma un abito di Stefano Ricci è un biglietto da visita diverso, no? La produzione di una ammiraglia non è solamente il tentativo di esplorare una fetta di mercato piccola ma ricca e potenzialmente molto profittevole per chiunque; è una dichiarazione d'intenti, di volere elevare il livello della propria Casa al di sopra di quella che, fino a quel momento, è stata una produzione relativamente utilitaria. Dal momento che il blasone però non lo si crea dall'oggi al domani, si possono usare due strategie per introdursi a questi livelli: il primo, già ampiamente sperimentato da molti altri fabbricanti, anche di ottimo livello, e quello di acquistare un marchio blasonato ma in difficoltà e di rilanciarlo come parte del proprio impero: è il caso di varie Case europee che si sono evoluti in questo senso, e non si parla di ripieghi: BMW con Rolls-Royce o VW con Bentley o Bugatti, per esempio. (Si taccia, per pudore, di Mercedes e Maybach). Una seconda strada è quella di creare ex novo un brand autonomo dichiaratamente di alto livello come ha fatto Toyota con Lexus, o Nissan con Infinity. C'è una certa somiglianza con queste operazioni nella creazione di questa Genesis, che rappresenta in pratica l'ammiraglia della Hyundai.



Qualsiasi strada un fabbricante decida di seguire per iniettarsi una robusta dose di prestigio in concessionaria, la base oggi deve essere solidamente tecnologica: le ammiraglie, ora, non sono più semplicemente veloci salotti confortevoli tutti rifiniti in pelle e radica. Sono molto di più: contengono processori, computer, sensori, sistemi elettronici audio-video di comunicazione con i quali, cinquant'anni fa, si poteva molto probabilmente arrivare fin sulla Luna. Non che tutti abbiamo di queste aspirazioni, ma la presenza di tanta potenza di calcolo deve servire soprattutto, immaginiamo, a fare dormire sogni placidi e tranquilli agli ingegneri di Seoul. Per questa ragione aprire la porta di una di queste macchine impone di routine un piccolo briefing preliminare, ci si avvicina con qualche diffidenza. Certo, è ormai raro, ormai, che ci si debba abbassare al livello di premere un tasto col telecomando, troppa fatica per una presunta generazione 2.0, basta avere il trasmettitore in tasca e fa tutto lui. Comodo ed elegante, i ladri tecnologicamente più avanzati ringraziano della facilitazione. Ma soprattutto, funzionerà? Non c’è nulla di più frustrante, in chi acquista queste complicate astronavi stradali con l’intento di fare bella figura con la bourgeoisie, di avvicinarsi all’auto, tentare di aprire e non succede nulla. Con le Jaguar XJ12 di una volta tutt’al più si ingolfavano un paio di cilindri, era comunque tutto più eroico e scenografico. Qui si rischia di rimanere schiavi di due CPU e della solita preistorica batteria da 150 Euro.
Avendo accertato che è possibile, eventualmente, entrare nell'auto, è opportuno dare un'occhiata all'esterno. La linea della Genesis è piuttosto interessante, soprattutto intellettualmente, perché è una perfetta vetrina del pensiero coreano. Stavolta, anziché copiare una automobile di prestigio europea, i coreani hanno deciso di fare le cose per bene, ab originis: e hanno dunque ingaggiato uno stilista tedesco che si è fatto un nome all'Audi, cioè Peter Schreyer. Ci piace pensare che all’atto di fargli apporre una firma sulla riga in fondo al contratto, sotto ai (presumibili) vari zeri della prebenda, i dirigenti Hyundai gli abbiano verosimilmente spiegato che desideravano avere da lui una berlina di rappresentanza di alto livello, esplicitando la loro ammirazione per il suo lavoro precedente presso una certa Casa bavarese, probabilmente anche suggerendogli una paletta di automobili di grande prestigio alle quali poteva, se necessario, ispirarsi senza che la dirigenza della Hyundai trovasse nulla da ridire. E così è comparsa sullo schermo dei VDT questa berlina che Schreyer ha firmato con piacere, una grossa berlina piuttosto ben equilibrata nella quale il frontale, con la sua voluminosa calandra, ricorda da vicino le ultime cose da lui create all'Audi mentre il posteriore è fortemente reminiscente di altre auto: se vogliamo essere clementi ricorda la ultima Jaguar XJ, i più equanimi ci vedono molta Citroen C5. Niente di male, in fondo stiamo parlando di una automobile molto interessante in tutti i casi, il rapporto dei volumi è sufficientemente bilanciato, la linea della fiancata è anche abbastanza lineare e per fortuna non ci sono quei violenti spigoli deformi, quei gruppi ottici posteriori puntuti e mezzo gotici che invece appesantiscono sempre di più certe ammiraglie giapponesi direttamente concorrenti. Ogni riferimento a Lexus è assolutamente casuale.



Avendo già dato un'occhiata delle specifiche tecniche che sono sicuramente di alto livello, con un bel motore 3,8 litri e trazione integrale, ci si può divertire a studiare la complicazione di questi sistemi. Preparatevi quindi a studiare AEB, SCC, BSD/RCTA, LKAS, TPMS…. o forse si può ignorare il tutto e goderne i frutti senza emicranie. Come si diceva prima, ormai in un'auto di questo livello è del tutto normale offrire al cliente il più colossale equipaggiamento tecnologico che è disponibile presso i grandi fabbricanti di componentistica e di sistemi, con qualche inevitabile difficoltà nell'armonizzazione del tutto, ma con ovvi benefici in termini di completezza dell'offerta e di godibilità della vettura. Per questa ragione, fare una lista di quello che si trova all'interno della Genesis sarebbe veramente noioso, diciamo in breve: c’è tutto. La Genesis accoglie i suoi utenti persino proiettando per terra il suo simbolo quando ci si avvicina (potenza del wireless) e modulando un'allegra nota di benvenuto quando si entra e si chiude la portiera. La nota cala invece in un lamentoso tono minore quando si spegne l'auto e si esce, segno tangibile del cordoglio dell'auto abbandonata dall'amatissimo guidatore. Per indicare alcune delle 'altre' cose più significative, ricordiamo il radar di prossimità, i sistemi automatici di marcia e di arresto, un completissimo sistema elettronico audiovideo con navigatore, telefono Bluetooth integrato, telecamere per parcheggio con varie vedute e così via, in un florilegio di equipaggiamenti la cui esplorazione richiederebbe un tempo piuttosto esteso. Il tutto, va detto, con un'interfaccia inevitabilmente molto complessa ma non poi impossibile da manovrare neppure per chi vuole, nella migliore tradizione dei giornalisti dell'automobile, salire su un'automobile e guidarla senza nemmeno sapere se esiste un libretto d'istruzioni. A dire il vero in questo caso il libretto d'istruzioni digitale è presente ed è accessibile attraverso il menu del navigatore, ma per arrivarci avete bisogno… di avere letto, prima, il manuale di istruzioni. ‘Comma 22’, al suo più alto livello.
Ma come va su strada questa grossa, ricca berlina? Diciamo che ci sono luci e ombre; e anche che, perché no, che le prime superano le seconde. Il motore è, quasi inevitabilmente, silenziosissimo e si avvia premendo un bottone accanto al piantone dello sterzo. Il bottone esiste non in quanto eco romantico di come si metteva in moto una Bristol del 1953 ma piuttosto perchè, non essendoci più una chiave per aprire le porte, sarebbe stupido fornirne una solo per avviare il motore. Su un berlina così il bottone di metallo spazzolato non ci piace, ma è la moda, bellezza.
Il cambio seleziona le sue otto marce in maniera pressoché inavvertibile e la marcia è da subito molto piacevole, anche se con uno sterzo fin troppo leggero alle basse velocità. Le prestazioni del motore sono buone, il 3,8 litri è relativamente brillante e il cambio migliora con l’uso, forse non è migliore del ZF delle sue dirette concorrenti tedesche, però nella marcia cittadina e/o autostradale è molto progressivo e confortevole. Sul settaggio delle sospensioni, a proposito delle quali viene esibita con grande orgoglio la firma della Lotus, sicuramente ci sarà invece da ripensare qualcosa; l’impronta generale di questa grossa berlina è giudiziosamente sottosterzante, ma ogni tanto nell’affrontare una curva stretta in velocità la Genesis sembra piantarsi un po' di muso, il che, in unione a un servosterzo fin troppo aggressivo a bassa velocità e estremamente diretto nelle sue reazioni, crea qualche perplessità. Insomma, inutile illudersi che questa sia una specie di Panamera orientale, siamo più vicini a una Lexus 300 meglio riuscita esteticamente, e già non è male.
L'intervento del radar di prossimità in autostrada e a volte un po' eccessivo, ma nell'insieme l'integrazione fra tutti sistemi elettronici di bordo è molto buona, cosicché sui viaggi lunghi molte funzioni possono essere tranquillamente delegate agli automatismi di bordo senza troppi pensieri. Inutile dire che impianto stereo, climatizzazione così via sono eccellenti, e una volta che si impara a gestire un po' la coabitazione fra lo schermo touch-control e le varie rotelle dei tasti di selezione, l'operazione è anche piuttosto semplice. È da applaudire l'idea che alcune di queste operazioni, tipo accoppiare il telefono al sistema di bordo, possono essere fatte solo vettura ferma, col cambio in Drive.
Il rumore aerodinamico è estremamente contenuto, ogni tanto si sente un po' il rotolamento di pneumatici ma questo è dovuto a una gommatura di profilo e sezione esagerate, forse sin troppo sportive (certamente in nome dell'estetica) per una berlina a vocazione sostanzialmente abbastanza tranquilla e confortevole come dev'essere questa.



Per qualche ragione, ma senz'altro la colpa è dal troppo breve tempo di prova a nostra disposizione, non siamo invece riusciti a trovare una posizione di guida decente che potesse poi essere successivamente riportata alla successiva riaccensione della vettura. Una delle tante caratteristiche di questa macchina è infatti anche avere un sedile per la ‘easy entry’, che cioè quando spegnete si tira tutto indietro e si abbassa per facilitare ingresso e uscita a anziani, artritici e obesi vari. Un problema senz’altro sentito in USA, meno da noi dove questo continuo scivolare avanti e indietro è una continua irritazione. E’ certamente possibile disinserirlo, ma per farlo bisogna scendere parecchi menu, sottomenu, opzioni e scelte minute che ricordano la discesa nel labirinto di Cnosso, sapremo poi tornare indietro? Non è che fra questi sottomenu stiamo selezionando anche ‘bloccare auto per sempre, ovunque, irreversibilmente’? Intimoriti, lasciamo il tutto allo status quo ante, sentendoci molto Mr Bean nello scivolare impotenti avanti e indietro a ogni avviamento, maledicendo il manager coreano, sicuramente obeso, che l’ha fatto mettere in produzione. Alla fine così ci si trova sempre un po' infossati come in una trincea o, alternativamente, troppo alti come i leggendari ‘homme pétard’ delle automotrici Bugatti; complici i montanti piuttosto voluminosi del padiglione, non sempre ci si trova a proprio agio. Bellissimo è invece il tetto in cristallo, apribile e orientabile, grande come quello delle carrozze panoramiche delle Rhatische Bahn; degno di GoogleView è poi il sistema di telecamere periferiche, la cui prospettiva viene rielaborata in modo da fornire sul monitor di bordo una magnifica visione dall'alto. Fa pensare di avere un drone personale, invisibile ma permanente che sorvola la Genesis di continuo per fornire una panoramica completa di ogni parcheggio, strisce e colonne comprese.





Non abbiamo naturalmente potuto provare cose ormai relativamente marginali come la velocità massima (non siamo nemmeno riusciti sul sito Hyundai a trovare quanto la Casa dichiari) o la performance sulla neve, ma non abbiamo alcun dubbio che tutto ciò che la Hyundai dichiara è sicuramente affidabile e ripetibile; sulla serietà di questi costruttori non è possibile discutere. Se non altro, Hyundai e colleghi Far East sono nati e cresciuti confrontandosi giorno dopo giorno con clienti non certo alla ricerca di uno status symbol ma piuttosto desiderosi di avere prodotti solidi, seri, in grado di mantenere sempre e comunque le proprie promesse. A loro, di taroccare il software di un Diesel non sarebbe mai venuto in mente anche perché nessuno gliel’avrebbe mai fatta passare liscia per anni…..
Da molti punti di vista, la Genesis non delude. Ha ancora bisogno di essere evoluta nell'estetica, che dovrà diventare più personale, ricordando di meno l'Audi davanti e una grossa Citroen di dietro; si dovranno integrare meglio alcuni dettagli dell'interno, di armonizzare qualcosa nella posizione di guida, fare insomma un po' di quel lungo processo di affidamento che ha fatto diventare grandi, nel corso di decenni, le grosse Jaguar 'XJ' o le Mercedes ‘S-Klasse’. Per questo tipo di processo sarà senz'altro prezioso il gusto di un grande (ma ancora non abbastanza riconosciuto) designer qual'è Luc Donckerwolke, ex-Lamborghini, ex-Bentley e ora destinato a succedere proprio a Schreyer. Per ora, in questa Genesis si trova un prodotto di alta qualità, con un prezzo decisamente ragionevole, ricchissimamente equipaggiato e di grande qualità complessiva. Se vi piace il lusso invisibile, e non vi rassegnate a portarvi a casa una VW Phaeton, avete trovato l'auto che fa per voi.


Jaguar XJR


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