Stefano Pasini

JAGUAR XKR

Una sigla magica: ‘XK’. Poche lettere, nella storia dell’automobile, hanno portato lo stesso formidabile carico di suggestioni di queste due, che identificano, dal 1948, la famiglia sportiva della Jaguar. Evoca lunghi cofani curvilinei, spartane roadster lanciate su passi alpini alla conquista di trofei dai nomi antichi, i lunghi rettifili di Le Mans e le più belle gare classiche d’un tempo. Cinquant’anni fa, la XK120 nacque come ‘vetrina’ dello straordinario nuovo motore a sei cilindri in linea, bialbero, che sir William Lyons aveva pensato per le sue grandi berline e diventò poi anche il marchio ed il cuore delle sue inattese, ma formidabili, vetture sportive.

In London, 29.4.2000

I tempi cambiano, ammoniva, a suo tempo, Bob Dylan; i controlli di emissione e le normative internazionali hanno apparentemente condannato all’estinzione i motori 6 cilindri in linea. La Jaguar, guardando ancora una volta avanti, ha quindi rimpiazzato quel glorioso bialbero con un sofisticato V8, e, per presentarlo al meglio, ci ha costruito attorno un’automobile sportiva di assoluto pregio: la ‘XK8’. Bella, bellissima, e con un telaio da favola, che tutti pensavano potesse essere in grado di gestire più potenza, anche 50-60 cavalli di più, senza alcun problema.

Già, più potenza. Ecco perché esiste la nuova Jaguar ‘XKR’. E’ il risultato del trapianto, ovvio quanto proficuo, del motorone della berlina serie ‘R’ sulla scocca delle sorelle XK, coupé e Cabrio. Motore meraviglioso, nel quale la Casa inglese ha resuscitato il concetto del compressore volumetrico (come già avevano fatto Aston Martin e Mercedes: è dunque un’avventura affrontata in buonissima compagnia) per dare al suo V8 quattro litri una cospicua iniezione supplementare di cavalli.

E’ un motore degno di un aeroplano, e anche questo fa parte della migliore tradizione inglese, nella quale uomini, marchi e studi d’impronta aeronautica spesso si incrociano in maniera assai romantica con il mondo dell’automobile. E non è forse un caso che i ‘volumetrici’ siano stati riproposti proprio da chi, nell’ultima guerra, accumulò più esperienza su questi tipi di compressore, i migliori inglesi (quelli di area Ford) e, naturalmente, la Daimler-Benz. I quali, ben consci dei vari problemi del turbocompressore sui motori a benzina, hanno rispolverato con grande successo il sistema Roots, in versione elaborata dalla Eaton, per un aumento di potenza armonico e continuo a tutti i regimi di rotazione (i rotori, ad esempio, ora hanno un andamento elicoidale anziché rettilineo).

Il blocco non è stato molto cambiato, se non per dettagli minori; rimane il già noto otto cilindri 4 litri (86x86 mm, 3.996 cc.) con due bancate disposte a V (90°), distribuzione bialbero a camme in testa comandata da catena, quattro valvole per cilindro, iniezione/accensione elettronica. E, naturalmente, compressore, per una potenza finale di 358 cv a 6.150 giri, ed una coppia di più di 500 Nm a 4.600 giri. Cifre che parlano da sole.

Il sostanzioso aumento di potenza, come si è detto, giunge perfettamente appropriato su di un telaio che è fra i migliori possibili. La piattaforma, molto robusta e sostanzialmente identica per le due versioni, è quella di un robusto pianale con sottotelaio anteriore e posteriore, sospensioni indipendenti sulle quattro ruote con doppi quadrilateri anteriori, e triangolo inferiore con semiasse portante al retrotreno; ambedue gli assali portano ammortizzatori telescopici, molle elicoidali e barre stabilizzatrici. Il sistema frenante ha quattro dischi autoventilanti, servofreno ad ABS, mentre  lo sterzo, ovviamente pure servoassistito, è a cremagliera. Il cambio automatico, a 5 rapporti, è prodotto dalla Daimler-Benz, ed ha modalità ‘Sport’ oppure normale, selezionabile tramite un pulsante posto dietro alla leva del cambio. I pneumatici sono Pirelli P Zero su cerchi da 18”, di serie su questi modelli.

Le specifiche tecniche sono una bella cosa, ma, su una Jaguar, non la più importante. Lo si capisce guardando la carrozzeria di queste due sorelle sportive. Ambedue, s’intende, sono auto da sogno; il nostro gusto personale ci porta però a preferire la linea della coupé, per la linea filante del suo lunotto e la maggiore impressione di coerenza dell’insieme. Ma anche la Cabriolet, s’intende, è un’automobile bellissima, che sarà senza dubbio preferita da chi ama la guida all’aria aperta..

Si tratta anche di intendercisi sulla missione prioritaria che il cliente vorrà assegnare alla sua XKR. Chi usa la sua Jaguar come un lussuoso giocattolo per la Costa Azzurra, ed ama il sole e l’aria aperta sopra ad ogni cosa anche in automobile, non può privarsi della gioia della Cabrio, la cui capote ad azionamento elettrico è fra l’altro particolarmente ben fatta. Il filologo della Gran Turismo, invece, chi ama attraversare l’Europa in grande stile con comodità e prestazioni di primissimo piano, amerà soprattutto la versione chiusa. Ed è questa che abbiamo scelto di provare in questa occasione.

La linea complessiva delle sorelle ‘XK’ è comunque ben nota da tempo, ed universalmente apprezzata. Quello che è stato modificato, per la versione ‘R’, è qualche dettaglio di piccola entità ma significativo: le prese d’aria supplementari sul cofano motore, le griglie del muso che sono state ridisegnate, i cerchi di diverso ed esclusivo disegno.

Luogo di culto massimo, per l’appassionato Jaguar, rimane naturalmente l’abitacolo: la XKR mostra anche in questo caso differenze minime rispetto alla XK, con una bella e grande plancia in legno scuro (in due tonalità diverse di finizione, una troppo scura, l’altra invece tradizionale e molto più piacevole). Si nota, qua  e là, la mano del fabbricante che, avendo rilevato la Jaguar qualche anno fa, ne ha migliorato la componentistica, e non solo sotto al cofano (che era poi dove ce n’era più bisogno);  lo stile è comunque bello, gli strumenti ben leggibili, anche se forse meno ‘inglesi’ che in passato.

Il comfort dei sedili rimane buono con una linea del tetto che, così sfilata, non concede molto alla testa dei passeggeri più alti; di piccole dimensioni, un po’ come in una Carrera, i due sedilini posteriori; non saranno sedili veri per adulti, però ci sono, fanno piacere, e possono accogliere con imparzialità bimbi, piccolissimi adulti e bagagli sparsi vari. Sono molto utili.

La plancia centrale raggruppa in un unico grande pannello nero una miriade di pulsanti, display  e interruttori vari, fra i quali si trovano i controlli della climatizzazione, il sistema audio e così via. Al volante sono invece piazzati i controlli del cruise control, del volume dell’autoradio e dell’eventuale telefono.

Se dal punto di vista meccanico non è cambiata poi molta roba, cavalli e compressore a parte, ancor meno si deve dire che è cambiato il carattere della XK a bassa velocità. Per il primo acclimatamento consiglia di studiare bene tutti gli interruttori ed in generale i comandi varo sparsi dalla plancia al volante, perché qualche cosa richiede di essere ‘vista’ in maniera precisa per identificarla poi successivamente senza perdere tempo. Non tutti questi comandi sono così intuitivi.

Facile, invece, è prendere confidenza con la caratteristica disposizione delle marce del cambio automatico, cioè, per meglio dire, con l’originale andamento a ‘J’ del selettore. Il concetto è semplice, brillante ed ingegnoso, com’erano una volta le pensate dei migliori inglesi. Il classico selettore a corsia rettilinea ha infatti il problema di creare il pericolo di involontari spostamenti della leva per esempio da ‘N’ a ‘D’, o ancora, quando si ha bisogno di mettere la ‘D’ in fretta, di tirare inavvertitamente troppo la leva e di farla finire, quindi, in ‘4’ o addirittura in marce inferiori. Per evitare questo pericolo, la Jaguar ha disegnato questo selettore in cui si trova ‘P’, ‘R’, ‘N’ e ‘D’ sulla corsia di destra, rettilinea; da ‘P’ si tira tutto indietro, sino al fine corsa, e si è su ‘D’, sicuramente. Ma se dovesse necessitare una marcia più bassa, da ‘D’ basta passare la leva alla corsia di sinistra, e qui, in questo caso andando in avanti, da ‘4’ si passa a ‘3’ e poi a ‘2’. Semplice e molto efficace.

Dietro alla leva del cambio si trovano altri due pulsanti importanti. Il primo comanda l’inserimento del cruise control, l’altro il modo ‘Sport’ del cambio.

Perché sono così importanti? Perché sono un po’ la ‘chiave’ dei cambiamenti di carattere della XKR. Quando si vuole andare forte, sfruttando con brillantezza i cavalli e la coppia del motore sovralimentato, il modo ‘Sport’ permette di tirare le marce, utilizzando con il massimo profitto in maniera del tutto manuale la leva del cambio (sulla corsia di sinistra del selettore, quindi, da ‘4’ a ‘2’). In modo normale, le cambiate avvengono a un numero inferiore di giri, e, se le prestazioni a questo punto naturalmente calano, altrettanto fanno però anche i consumi.

Il cruise control è, invece, un congegno di grande utilità per chi fa del vero Gran Turismo. Chi, cioè, acquista una Jaguar come questa perché fa davvero dei chilometri, e magari il week-end decide di passarlo in un’amena località a cinque, seicento chilometri da casa. Nell’evenienza di un lungo trasferimento autostradale, il cruise control permette di selezionare una velocità di crociera, che poi esso mantiene automaticamente senza che sia più necessario toccare il pedale dell’acceleratore. Sembra cosa da poco, ma, quando si sta molte ore al volante, potere muovere ogni tanto anche la gamba destra aiuta molto a combattere il senso di stanchezza e di indolenzimento delle membra che è tipico dei lunghi viaggi. Si azzera al semplice tocco sul pedale del freno; lo si riprogramma, al bisogno, con due tasti sul volante. Insomma, una grande e poco conosciuta comodità.

Il silenzio classico delle Jaguar rimane anche sulla XKR, nella quale però si fa anche qualche concessione, inevitabile, alla sportività del telaio e del motore. Sulle buche e sulle irregolarità stradali, la XKR rimane sempre confortevole, ben controllata, anche se l’assetto è stato ovviamente un po’ irrigidito; non si può negare che quello realizzato dagli inglesi sia un compromesso del miglior livello possibile, grazie anche al sistema di sospensioni ‘CATS’, assistito da computer.

Il motore, però, domina le impressioni di guida, anche se è stato fatto evidentemente tutto ciò che si poteva per renderlo silenzioso, liscio, quali invisibile. Normalmente, il bellissimo V8 pompa cavalli con serenità, con una flessibile erogazione di  potenza che ricorda molto, anche per la quasi totale assenza di vibrazioni, il vecchio meraviglioso 6 cilindri XK.

Ma se si schiaccia sull’acceleratore con decisione, la XKR tira fuori gli artigli. Ed il compressore, allora, si sente davvero. Non solo per la sensibile accelerazione che l’automobile mostra in questi momenti, con una impennata di cavalli che è decisamente piacevole e fa sì che pilota e passeggero premano con decisione sugli schienali dei sedili;  è anche il rumore che fa, quel bel fischio metallico di sottofondo che nessun altro motore, ora, si arrischia più a proporre con tanta franchezza.

Cavalli, comfort, lusso; la XKR si qualifica, sul campo, come una vera Gran Turismo, velocissima ma anche rilassante, un’automobile a molte (belle) facce, con abitabilità, bagagliaio (300 litri, niente male), comfort da stradista di lungo corso ma al tempo stesso, all’occorrenza, anche la grinta di un motore che, con i suoi 358 cavalli, è comunque al vertice di qualsiasi categoria. 

Va aggiunto un ultimo tassello, e questo è quasi stupefacente: il prezzo. Tutte le qualità e le emozioni di questa Jaguar coupé possono essere acquistate al prezzo di 154 milioni con un ricchissimo equipaggiamento di serie, mentre la Cabrio costa 18 milioni in più. Visti i listini delle dirette rivali, che si chiamano Porsche Carrera Turbo, Aston Martin DB7 o Mercedes E55 AMG, è da ritenersi più che conveniente.

  Storia della serie XK

  I modelli ‘XK’ nacquero, come la Miura di Lamborghini, solo per stupire il pubblico. Sir William Lyons, avendo pronto nell’immediato dopoguerra il suo nuovo stupendo motore bialbero, decisa di stupire il mondo presentando il motore ‘vestito’ al meglio; non dentro alle grandi berline che ne dovevano essere la culla naturale, ma dentro alla sensuale carrozzeria di una due posti roadster con carrozzeria in alluminio, la XK120.

Era il 1948, e l’effetto fu dirompente. In un momento, la ‘Jaguar’ divenne famosa nel mondo, e negli USA, principale mercato d’esportazione, la XK120 divenne un simbolo della Hollywood rampante. Ma era anche un’auto di grandi  qualità sportive, come provò subito, ad esempio, Ian Appleyard con la sua celebre ‘NUB120’. Dalla ‘120’ venne subito derivata la ‘C’ da competizione; nel 1954 arrivò la ‘140’, evoluzione della ‘120’ con molti miglioramenti. Nello stesso anno apparve la naturale evoluzione della ‘XKC’, la ‘D-Type’ nota per la sua pinna posteriore e per le vittorie a Le Mans. Da questa venne derivata la leggendaria versione stradale ‘XK-SS’: 16 esemplari costruiti, ora di valore astronomico. L’evoluzione finale del concetto ‘120’ arrivò con la ‘150’, sempre del ’57, ormai più una lussuosa GT che un’auto da corsa; ma, tecnicamente , la stirpe delle ‘XK’ proseguì con la ‘E-Type’, infatti denominata, su alcuni mercati, ‘XKE’. Bellissima e molto veloce, la ‘E’ ripagava il cliente della sostanziale assenza del sistema frenante con un basso prezzo, di molto inferiore a quello di una Ferrari o di un’Aston. La XKE finì la sua produzione nel 1975; la famiglia delle ‘XK’ rimase sterile per lunghi anni, ed è ricominciata nel 1996 con l’arrivo delle attuali ‘XK8’.

Stefano Pasini, 4.2000