Stefano Pasini

 

 

 

THE TEMPLES OF THE COCKTAIL MARTINI

 

Un grande appassionato ci guida ai martini di Torino 

 

 

 

UN COCKTAIL A TORINO

OVVERO ALLA RICERCA DELL'APERITIVO DEFINITIVO

di Vittorio Gallo

 

C'era una volta una certa Torino, poi ce n'è stata un'altra e un'altra ancora. E quella di adesso è così diversa dalle precedenti. C'era una volta Antonio Benedetto (mai nome fu più appropriato) Carpano che nel 1786 inventò il vermouth (o vermut, o vermutte, da Wermut, nome tedesco dell'artemisia maggiore). Fu così che, di lì a poco a Casa Reale, a Torino, il rosolio venne sostituito col vermouth, per il piacere delle loro signorie nei momenti di relax, prima di accedere alle reali tavole. Comparvero poi Martini & Rossi, Cinzano, Cora, Calissano e altri, che nel tempo si sono adoperati per diversificare componenti, gusti, aromi e profumi contribuendo alla diffusione planetaria del rito dell'aperitivo, che da Torino, pensate è giunto financo a Milano che, comme d'abitude, ha fatto suo il gioco diventando, in quattro e quattr'otto, dapprima una città da bere e poi...

Ma lasciamo da parte i provincialismi e sentiamo il parere, in fatto di aperitivi, di quel vecchio colto di Umberto Eco «...come tutti ho un sogno. – scrive - Per alcuni è diventare presidente del consiglio, magnate del petrolio, padrone di una barca lunga cento metri, accompagnatore ufficiale di una delle più desiderate top model, forse cardinale. Per me è avere in ogni città del mondo un bar dove posso entrare e dire, in prima istanza, “il solito”, e possibilmente un altro dove non debba dire nulla, e mi venga automaticamente servito un gin martini...». Questo è il desiderio di tutti coloro che amano il “martini”, compreso chi scrive, ovvero il rito dell'aperitivo.

Citiamo il “martini” (“m” minuscola, poiché nulla c'entra con la “Martini & Rossi”) come l'aperitivo per eccellenza, il miscelato all'apparenza più semplice, ma in verità il più elegante e il più difficile da eseguire, sia per l'ampia scelta dei prodotti su cui si basa (gin o vodka di diverse produzioni e paesi d'origine), sia per la pignoleria (pedanteria) che contraddistingue i suoi veri ed intransigentissimi affezionati, che di solito sfidano con sguardo severo il barman mettendo alla prova la sua cultura e abilità nell'assemblaggio degli elementi , nella scelta della “coppetta martini”, del mixing-glass, della quantità e tipologia di ghiaccio, nel “girare” (stirring) (venti-trenta volte) e mai, mai shakerare, nel modo in cui strizza lo zest di limone sul martini versato e, least but not last, se estrae bottiglie e coppette dal freezer o se queste vengono raffreddate con ghiaccio e acqua che poi verranno accuratamente eliminati. Ma la vera sfida, nella preparazione di un gin o di un vodka martini, consiste nella spasmodica ricerca della sua “secchezza”, fino alle estreme conseguenze, il cui risultato passa attraverso aneddoti e fatti strani e curiosi. Si inizia con il classico rapporto di cinque parti di gin o vodka e una di vermouth dry per arrivare, con Hemingway, al cosiddetto Montgomery, rapporto quindici a uno e, infine, all'”in and out”, nel quale in vermouth viene usato solo per aromatizzare il ghiaccio, quindi accuratamente eliminato attraverso il colino.

Si potrebbe scrivere un trattato, sulle abitudini delle popolazioni e delle genti civilizzate (e che restano tali fino a che non si abbrutiscono con deleteri tuffi nell'etanolo) e del loro piacere, a fine giornata, nel farsi preparare un cocktail “come si deve”, sia che di martini, di Negroni, di Daiquiri o di altro si tratti. Facile, infatti, bere bene un rum, un whisky, oppure calvados o armagnac. Basta conoscere i migliori prodotti, avere un po' di denaro e disporre di un po' di tempo, di solito dopo cena. Ma noi stiamo parlando di aperitivi “miscelati” (cocktails), e di quelli che furono, e qualcuno oggi per fortuna ancora c'è, gli american bar. Un nome per tutti, l'Harry's Bar, ma a Venezia, e qui dovrebbe trovar spazio un altro corposo volume di storie di persone e personaggi, di piaceri e di eccessi, di ricchezze e nobiltà. Andateci, all'Harry's, se ancora non avete oltrepassato quella mitica bussola di calle Vallaresso, andateci, entrate nel mito e godetevi il rito di un gin martini molto secco e ghiacciato (che sarà certo il primo di un certo numero), oppure uno storico Bellini preparato al momento, accompagnati da una polpettina di pollo o da un tostino di prosciutto di Praga, serviti dal miglior personale del Creato. Peccato che Claudio, bartender all'Harry's per 40 anni, sia andato da poco in pensione. Ne ha fatto un malattia, e c'è da credergli, avendo vissuto tutti quegli anni all'ombra dell'etanolica anima di Hemingway (vero...spirito) che all'Harry's si sedeva subito dietro la bussola, a sinistra. «”Fammi un martini molto secco”, disse il colonnello» in Di là dal fiume e tra gli alberi, dove sovente si beve, e tanto. «Bevevano un Negroni, un miscuglio di due vermouth dolci con selz», ma si beve soprattutto martini: «Ragazzo, come ti chiami? Giorgio? Un altro martini. Secco, molto secco e doppio». (...) «”Vuoi anche tu un martini secco?”. “Sì” disse. “Volentieri”. “Due martini molto secchi” disse il colonnello. “Montgomery. Quindici a uno”. Il cameriere, che era stato nel deserto, sorrise e scomparve». Harry's Bar. Il mito ed un rito nel mito, sì, il martini. E che nessuno mi venga a dire che è preparato prima e tenuto in freezer. Certo, può essere che sia stato preparato poco prima, ma sempre di pochi minuti, eventualmente, si tratta. Infatti l'affluenza di pubblico è talmente elevata che finito un gallone già se ne prepara un altro. Già, perchè il gallone sostituisce nobilmente il bicchiere, quando s'hanno da preparare molti martini, fino a otto, dieci. Dal gallone il trasparente liquido viene versato, passando attraverso lo strainer, in quei piccolo tumbler con il logo del Bar , unica possibile deroga alla classica coppetta martini.

Torniamo a Torino. Si diceva “c'era una volta una certa Torino...”. Già, personalmente i miei ricordi giungono ad inizio anni settanta, per poi transitare velocemente (una freccia scagliata nel tempo) fino ad oggi. Pochi luoghi consacrati al rito dell'aperitivo e i ricordi di mio padre che, parlando con amici, citava il “Romana Bass”, che credo si trovasse in piazza Castello. Pochi luoghi, ma perfetti, e storici, perchè ancora adesso rammentati con nostalgia e citati da tutti i nuovi bartenders (identificazione nobile di “barman”) in attività. C'era una volta il caffè Zucca di via Roma, deus ex machina di generazioni di barman professionisti, che conobbi all'epoca della scuola media quando, con mio padre, vi andavo al mattino presto, per la prima colazione, alle sette e trenta, prima di entrare al San Giuseppe. E già allora (1963-64) le cose deliziose erano tante, a cominciare da quei grandi salatini appena sfornati, con calda Fontina fondente. E c'erano una volta il Ballantine's di corso Matteotti, felpato ed elegantissimo luogo di incontri di piacere e di affari, meglio di un confessionale, ed  il più irriverente Cameron di corso San Maurizio e, ancora, il mitico Camillo di via Bogino, con lo stesso Camillo (“il” Maestro) e Pino Crivello, i loro martini, i risotti e le ostriche afrodisiache per coppie tanto eleganti quanto del tutto clandestine che non avevano bisogno di quelle ostriche per finire la serata in maniera...mirabolante; e poi l'Abreuvoir di via Avogadro, con Aurelio. Indimenticabile, in una notte d'autunno verso le due, quel martini sul quale, invece del limone, Aurelio fece scivolare due, tre lamelle di tartufo bianco d'Alba...

Vorrei dire, a questo punto, e ne converrete, che c'era una volta l'”aperitivo” e non le happy hours, gli american bar e non i wine bar. C'erano le olive e non i tranci di pizza surgelata, due ostriche freschissime e non la pasta stracotta avanzata a pranzo; magari, appunto, un risottino allo Champagne fatto al momento e non le patate precotte e strafritte grondanti olio. C'erano eleganti spazi avvolti nella penombra, molto riservati come lo erano i camerieri che tutto vedevano e poco dicevano. Luoghi e riti sono cambiati perchè è cambiata la società, e i clienti di allora non hanno avuto adeguato ricambio. Diceva Francis Scott Fitzgerald che per condurre uno stile di vita elegante ed inimitabile bisogna sempre avere a portata di mano - giorno e notte - un cocktail adatto. Ma forse è comprensibile, in momenti in cui il gusto e lo stile (e le alte finanze) non sono più merci facilmente reperibili sul mercato, che la cena del sabato sera, tra ragazzi ancora ingenui (almeno a quel riguardo), venga sdoganata per 10-12 euro sotto le mentite spoglie dell'aperitivo. Questo, però, non mette purtroppo nessuno al riparo dai danni da abuso di alcol, tanto allora quanto adesso, e la democratizzazione dell'aperitivo, al di là dell'abbassamento qualitativo dell'offerta, ha trasformato i “belli e dannati” in poveri e ubriachi.

Ma qualcosa ancora c'è, qualche luogo dove si beve con tranquillità, serviti come Dio comanda e, soprattutto dove il cocktail è preparato con i giusti equilibri e prodotti di primo livello. Luoghi dove non si seguono usi, abusi e scostumi delle happy hours e dove il sottofondo musicale è finalizzato anch'esso al recupero delle forze andate perdute dopo una giornata di lavoro. Per quelle affinità elettive che sono difficilmente spiegabili e descrivibili, puri stati d'animo che tendiamo a stratificare nei ricordi più piacevoli e a condividere solo con chi riteniamo far parte del nostro privatissimo club esistenziale (ma, attenzione, quanto errori di valutazione...), cito a caso l'american bar “Fibonacci” dell'Hotel Boston di via Massena, dove Pier ha raccolto, per il nostro piacere, una ventina (sic!) di pregiati gin (fateveli raccontare e saggiate la sua cultura a riguardo) e poco meno vodke, caso forse unico in città, e dove i cosiddetti stuzzichini sono piccoli capolavori di gusto e raffinatezza, abbinati alla fantasia e alla perfezione di Pier nel prepararli e servirveli. Sono un estimatore del gin martini, che preferisco al vodka martini (brutalmente contratto dai più in “vodkatini”, sostantivo da abolire) per il semplice motivo che “sa”, che  possiede un gusto ed un aroma. Aroma che dipende dal gin scelto. E al Boston, non potete far altro, aperitivo dopo aperitivo (non uno dietro l'altro, vi prego!), che assaggiare, gustare, provare, riprovare, confrontare e alla fine fare la vostra meditata ed edonistica scelta, dal più aromatico a quello più secco (mi dice Pier dipendere dai tipi e dal numero dei cosiddetti botanicos, le erbe, le inflorescenze usate nei diversi gin) e informare di questa scelta  in nostro barman, che da quel momento non vi chiederà più che cosa vorrete bere e quale gin vorrete miscelare: sarà allora “il solito”, oppure nemmeno una parola, come auspica Umberto Eco. Adoro i gin inglesi, come il Martin Millers, dai sentori di liquirizia, ma molto secco, Il Fifty Pounds e l'Old Raj (vero London gin), e il super elegante e super secco Tanquerey Ten.  Al Boston, godibilissimo art-hotel, dove artisti e gente di spettacolo trascorrono i loro periodi torinesi, i quadri e le installazioni d'arte contemporanea rappresentano una delle più importanti collezioni in città e non solo. Passeggerete, bicchiere in mano, di sala in sala gustandovi qui un Rotella, poco oltre un Burri, oppure uno Schifano vicino ad un Fontana.

L'Hotel Principi di Piemonte di via Gobetti è stato ed è di nuovo un caposaldo della hotellerie torinese di alto profilo. Qui trovate attenzioni e grande professionalità con l'esperto Flavio, al quale suggerirei solo di procurarsi (anche) coppette martini classiche, oltre ai bellissimi e alti calici dai riflessi verdi ora in uso, che fanno però storcere il naso ad un purista del martini. Già, un tradizionalista del buon bere trova di certo che il martini è migliore nelle coppette classiche, un po' perchè la limitata quantità non dà tempo al prezioso liquido di riscaldarsi, un po' perchè Hemingway, quando “si faceva” di gin, aveva in mano sempre e solo quelle, e noi amiamo tanto i classici. Al Principi sedetevi  sulla terrazza, quando il tempo è mite, e godetevi il passeggio di torinesi e di turisti con un servizio di alta classe e stupende tartine accompagnate da quelle chips di patate dalle nuances blu-viola, squisite. Lo stesso troverete dallo ieratico Beppe, nell'assai graziosa e raccolta lounge dell'Hotel Sitea, uno degli alberghi centrali torinesi di maggior fascino, ora ancor più godibile per la pedonalità che via Carlo Alberto ha acquisito. Delizioso, al Sitea, il piccolo giardino nel quale uscire per una boccata d'aria o di fumo, di grande impatto l'eleganza degli arredi delle sale e dei corridoi e ottimo il ristorante. L'american bar del Sitea è davvero un buen retiro dopo una giornata affannata, soprattutto in inverno, quando il calore avvolgente di quella lounge dà il massimo.

Ma si sa, in tutto il mondo, da oriente ad occidente, dal nord al sud, i grandi alberghi sono quasi sempre stati luoghi di elezione per gli american bar, dal Gritti, Danieli e San Clemente di Venezia, all'Hotel de Russie e l'Hotel d'Angleterre di Roma, dal Ritz di Parigi al Lanesborough di Londra (come suggerito da Stefano Pasini, martini's connoisseur). Senza contare i grandissimi hotel storici in di Marocco (Mamounia) e d'Oriente. E gli american bar, al di là dei problemi di ordine medico e dei pregiudizi di carattere socio-politico, si sono sempre mostrati quali luoghi di civiltà e di civilizzazione.

Alberghi a parte, a Torino, un luogo sacrale per un grande aperitivo è il Caffè Floris di via Cavour angolo via Pomba. Lì troverete Mario ed Alessandro (maestri e grandi professionisti del miscelato), in un ambiente super raffinato ed ovattato, con cocktails e Champagne da sogno per la precisione, la perfezione e la genialità con cui vengono preparati, e anche per l' inventiva posta nella composizione di delicatezze prelibate. Non solo, nello stesso luogo, e questo fa del Floris un posto unico in città, vi potrete immergere tra gli aromi di rari ed esclusivi profumi e passeggiare tra  complementi d'arredo lussuosi, curiosi, eleganti, sistemati come parte dell'arredo di casa: balocchi e profumi.

 Poco fuori dal nevralgico centro cittadino, un posto già citato ma con una gestione nuova, anche se attiva da molti anni, il Ballantine's di corso Matteotti. Luogo vivacissimo, divertente e very cool, dove incontrate tutti e di tutto, frequentato da habitué di lungo corso. Qui, Enzo non ha un esorbitante numero di gin e vodke ma vi assicuro che li sa usare come pochi altri in città. Memorabile il suo “Cardinale” e, in estate, il martini profumato al melone.

Se invece venite colti dal “gheddu” (lingua piemontese, potete tradurlo con “trip”!) di voler abbinare le modaiole happy hours a stuzzichini non avvelenati, ad un buon miscelato, e ad un servizio New York way of life, in un ambiente giovanile e anche un po' trasgressivo, bene, quel posto c'è ed è il Gran Bar di piazza Gran Madre, tra giocolieri, traffico, musica e passeggio. Ma se nei pressi del grande fiume non avete intenzione di partecipare alla movida del Gran Bar fatevi, da lì, a piedi, una bella passeggiata di dieci minuti lungo Po, sotto i tigli, e raggiungete corso Fiume, che altro non è che il proseguimento di corso Vittorio dopo il ponte, facendovi fagocitare dalla joie de vivre di Sergio, l'anima pensante, organizzatrice e factotum del Caffè Maggiora. Corso Fiume: la  differenza con corso Vittorio equivale a quella tra il giorno e la notte, tra sole e luna, tra una città da bere ed una da pere, tra Chopin e Ramazzotti, tra elitarismo e populismo. Qui, il Maggiora, classico luogo molto torinese molto “ben frequentato”, è un po' tutto, american bar, caffè, ristorante, pasticceria e anche e bistrot. Sergio userà per il martini forse un'unica marca di gin o vodka (che usa sapientemente,  e se anche li servisse in coppe martini più piccole...), ma tiene anche grandi Champagne, grandi vini, meravigliosi tramezzini e toast e, all'ora che volge il disio, fa scivolare fuori dal fornetto delle straordinarie pizze croccanti e voluttuose. Provatene una fettina con un martini ghiacciato, un fresco Gavi o un Taittinger in ghiaccio.

Ma torniamo ora in pieno centro. Vale la pena, di sicuro, farsi preparare un martini o un Mojito o un Negroni e assaggiare le splendide “cose” preparate ad hoc per l'ora dell'aperitivo nel dehors o agli eleganti tavolini del Vendôme di via Andrea Doria, la cui proprietà (la stessa del Floris) garantisce qualità ed eccellenza del servizio. Qui non mancano splendide ragazze, turisti, e raffinati torinesi doc al termine di una giornata di lavoro. Ma volete leggere o comprare un libro e sfogliarlo mentre sorseggiate il vostro aperitivo? Allora il posto è quello affacciato su piazza Carignano, in via Cesare Battisti, ed è il Mood, da cui transitano turisti estasiati da questa splendida città, ragazzi che escono dalle lezioni, torinesi che vivono e abitano questa zona gloriosa. Qui chiedete al simpaticissimo Max di prepararvi personalmente un perfetto Negroni o un gin-martini freddissimo.

E nella nobile Crocetta? C'è qualcosa di interessante, nel bel quartiere dove è difficile trovare ristoranti e bar di rilievo? Sì, un bar che dalla prima colazione allo stuzzichino preserale fa un po' di tutto, e di solito bene, il Croisette  di corso De Gasperi, con ottimi vini, Champagne e aperitivi niente male, soprattutto se è il giovane, biondo, sveglio e attento Giancarlo a prepararveli. Rivolgetevi a lui. Qui gli stuzzichini sono “veraci”, pane, salumi, formaggi, pizzette e insalata di riso. Serviti con cura e amore per il proprio lavoro.

 

Tanti altri sono i bar e gli hotel, dediti al nostro rito. E mi correrebbe l'obbligo di descriverli,  alcuni super assodati, altri nuovi e da riprovare: il Torino, Baratti, Mulassano, Norman, il Caval 'd brons, l'Hotel Golden, il One Apple, la Réserve, l'Apple Tree, la miriade di locali di piazza Vittorio e San Salvario, e quanti altri! Ne parleremo, guardandoci attraverso un bicchiere trasudante ghiaccio ed una verde oliva.

  

 

BOND BAR:

Hotel de Russie e Hotel d’Inghilterra di Roma;

Hotel Posta, Hotel Cristallo, Hotel Miramonti di Cortina;

Hotel Gritti, Hotel Danieli, Hotel Cipriani, Caffè Florian, Caffè Quadri, Harry’s Bar                                                    di Venezia;

Hotel des Illes Borromees di Stresa;

Hotel Villa d’Este di Cernobbio;

Hotel Splendido di Portofino;

Hotel Miramare di S. Margherita Ligure;

Hotel Savoy e Caffè Gilli di Firenze;

Hotel Parker’s di Napoli;

Hotel Palazzo Sasso di Ravello;

Caffè orientale di Parma;

Hotel Cala di Volpe di Portocervo;

Principi di Savoia, Milano.

 

 


Nota di SP.: non posso essere d'accordo su alcune valutazioni dell'amico Vittorio a proposito dell'Harry's a Venezia, che ritengo una purissima tourist trap senza reale cultura del martini, ma il valore affettivo di certi posti va rispettato. Il resto del suo scritto è amabile, erudito e del tutto condivisibile...;-))))