Stefano Pasini

 


Mobilità elettrica, un'utopia moderna
 

 

 a. Un po’ di storia

 
Chi conosce a fondo la storia dell'automobile sa bene che l'elettricità è tutt'altro che un'innovazione assoluta, dal momento che le prime auto erano in larga parte elettriche e non erano certo lumache: il primo veicolo a passare i 100 km all'ora (nel 1899!) è stata proprio un'automobile elettrica del belga Camile Jenatzy. La ‘Jamais Contente', stranissima automobile perfettamente profilata come un siluro dal quale però il guidatore emergeva con tutto il torso, era naturalmente limitata dalle tecnologie dell'epoca ma così come il motore a scoppio era ancora negli stati della sua neonatalità, avrebbe potuto svilupparsi in maniera molto rapida ed efficiente. Dopo che Planté e Faure e altri trovarono il modo rendere (relativamente) rapida la ricarica delle batterie stesse ci fu una prima diffusione di veicoli elettrici, soprattutto in UK e USA. La tecnologia degli accumulatori era certamente un enorme problema allora come adesso, ma avrebbe potuto essere risolto; solo che non ci potè essere concorrenza da quando la benzina, raffinata a poco prezzo del petrolio che si iniziava a trovare in grande abbondanza, poté essere distribuita in maniera rapida e capillare su tutte le strade. Eppure l’elettricità aveva pregi enormi in termini di silenziosità, assenza di rumori (il motore a scoppio non aveva ancora silenziatori, dunque era fragorosissimo, e si avviava tramite manovella, fortuna che ci pensava lo chauffeur), facilità d’uso. Erano auto eleganti: la collezione Domus-Quattroruote ospita una bellissima ‘Ohio Electric’ del 1912, un silenzioso fiacre elettrico con un sontuoso interno.

 
La mobilità elettrica ebbe all’epoca illustri paladini di alto profilo, primo e più famoso fra tutti il professor Ferdinand Porsche che già 120 anni fa propugnava la sua ricetta per una propulsione ibrida che denominò sistema ‘Mixte’: motori a scoppio che caricavano batterie tampone le quali a loro volta alimentavano i motori elettrici sistemati in due ruote motrici (anteriori) o addirittura in tutte e quattro. Suona forse familiare agli utenti delle attuali ‘ibride’? In uno dei modelli che il giovane elettricista boemo sviluppò nel 1900 per l’austriaca Lohner, Ferdinand Porsche andava un passo ancora più avanti realizzando un veicolo a propulsione ibrida con quattro ruote motrici e sterzanti. Durante la Grande Guerra, Porsche portò avanti questo suo concetto realizzando una serie di trattori militari per l'esercito del Kaiser, macchine apparentemente di buone prestazioni, ma di cui non sono sopravvissuti esemplari museali.

 
Nel frattempo l’idea della mobilità elettrica veniva portata avanti da alcuni fabbricanti, con buoni risultati (si calcola che all’inizio del XX secolo circolassero nel mondo fra pubblici e privati circa 30.000 veicoli elettrici, un numero rilevante considerata la ridotta dimensione del parco circolante totale) che sicuramente sarebbero anche aumentati in maniera cospicua, se non fosse che il motore a combustione interna alimentato a benzina era ormai diventato straordinariamente economico sia come costruzione che come rapidità e capillarità dei rifornimenti; dunque vediamo qui la prima applicazione di un concetto che ritroveremo ai giorni nostri, cioè la dipendenza di una vicenda tecnica, in questo caso la scelta di un sistema di trazione, da dettami politici e problematiche infrastrutturali più che da argomentazioni tecnologiche. La propulsione a vapore, tanto promettente all’inizio, venne penalizzata dal lunghissimo tempo di riscaldamento della caldaia mentre la possibilità di ridurre questi tempi, lasciando per così dire ‘al minimo’ la caldaia e la sua luce spia durante i tempi di non utilizzo, dovette essere abbandonata per ovvie ragioni di sicurezza, condannando la propulsione a vapore a scomparire dal mondo automobilistico. Rimase in auge nel settore ferroviario dove l’elettrificazione delle linee, pur se applicata in USA già dal 1895 (quattro miglia della Baltimore and Ohio Railroad verso New York) e dal 1896 in Europa con lavori pionieristici della svizzera Oerlikon (la prima linea ferroviaria completamente elettrificata venne installata nel 1902 in Valtellina), richiedeva però investimenti infrastrutturali che vennero effettuati con molta gradualità. Per le ferrovie il vapore andava ancora bene, visto che i tempi di avviamento e la manutenzione del boiler in queste applicazioni non rappresentavano un problema. Comunque, anche nel settore ferroviario la realizzazione di adeguate infrastrutture (l’elettrificazione progressiva delle linee, di cui furono pionieri gli svizzeri con le loro magnifiche ferrovie di montagna fra Alpi Retiche e Jungfrau) permise di relegare a macchine per linee secondarie, o addirittura a esclusivi usi museali, sia la trazione a combustione interna che esterna.

 
Per inciso, Porsche continuò a credere della bontà dei motori elettrici per tutta la vita e anche se fu costretto a cedere a motorizzazioni più convenzionali sia per le sue Auto Union da Grand Prix che per il suo progetto più famoso, il ‘Käfer’, però nella sua veste di progettista di mezzi corazzati estremi per il Fuhrer continuò fino al 1944 a progettare carri armati mossi dal sistema Mixte, una dinastia che ebbe il suo culmine nel colossale ‘Maus’ da 100 tonnellate.

   

 

Lohner-Porsche a trazione anteriore

 

 

Si può ricordare che durante la Seconda guerra mondiale, per ovviare ai problemi causati dall’ovvia carenza di carburante per mobilità civile, vennero realizzati vari veicoli elettrici, la maggior parte dei quali scomparsi come quelli della Stigler e il quasi contemporaneo esemplare unico su ugual base meccanica per il Patron della Mille Miglia Franco Mazzotti, tutti carrozzati dalla Touring (probabilmente su disegno di Carlo Revelli di Beaumont) nel 1940-41, mentre i furgoni per la distribuzione a Bologna della birra ‘Ronzani’ erano tutti elettrici.


Visto poi che fra poco si parlerà dei prodotti di una nota Casa francese, è bene ricordare che nel 1941 la Peugeot propose la Voiture Légère de Ville (vettura leggera da città), vetturetta che offriva un’autonomia di 80 km a 35 km all'ora per uso evidentemente solo cittadino ma che rappresentava una possibilità di movimento in più in quei momenti difficili. La Peugeot ha poi messo in produzione limitata negli anni ’70 ed ’80 versioni elettriche della 104 e 205, seguite dalla 106 elettrica, venduta tra il 1995 e il 2001; la iOn (2009) poi il Partner Electric (2014) hanno portato oggi alle nuove Peugeot e-208 ed e-2008, ambedue 100% elettriche.

 

Dopo la guerra le ristrettezze economiche e la necessità di procurare una motorizzazione di massa, in uno scenario nel quale le infrastrutture di tutta l’Europa erano state devastate dalla guerra, portarono ad una massiccia corsa al motore a benzina. L’interesse per la mobilità elettrica però non scomparve del tutto, e non è questa la sede per elencare tutte le vetture che in epoche diverse riproposero questo sistema nel corso della prima metà del ‘secolo breve’, anche se i veicoli elettrici furono accantonati a causa della concorrenza dei motori a combustione interna, molto meno dipendenti dalle infrastrutture di ricarica e dai relativi tempi di rifornimento: problematiche, come meglio si vedrà più avanti, destinate a rimanere una palla al piede della mobilità elettrica. Confinati a funzioni utilitarie in località tanto esclusive quanto anguste quali Zermatt o Capri, questi veicoli hanno continuato comunque per anni a fornire un servizio più che adeguato, pur nelle loro ovvie limitazioni tecniche.

  


Piccolo veicolo elettrico per trasporto merci a Capri
 

b. Evoluzioni recenti
 


Facciamo un salto in avanti, dunque, molti decenni dopo quella pionieristica automobile a propulsione ibrida di Ferdinand Porsche e i successivi tentativi. E’ inutile nascondersi che già negli anni '60 la questione dell'inquinamento atmosferico, in particolare nelle grandi città, aveva assunto dimensioni non più ignorabili. Pur permanendo la questione tuttora irrisolta delle emissioni chimiche industriali e dei riscaldamenti domestici a carbone e nafta, che in questo testo hanno solo un valore complementare al ragionamento di base, nel 1963 gli USA emisero il primo ‘Clean Air Act’ (evoluzione di quella che nel 1955 era stata la prima tappa di questo processo volto a ripulire l’aria); due anni dopo il ‘Motor Vehicle Air Pollution Control Act’ stabiliva nuove regole per depurare le emissioni dei gas di scarico della nuove automobili, a partire da quelle prodotte nel 1968. Questo movimento si allargò ben presto per ridurre l’inquinamento atmosferico da gas di scarico, un problema che iniziava a diventare davvero molto serio nelle grandi città. Erano primi passi di quelle che dovevano essere le legislazioni sempre più stringenti votate al contenimento e per quanto possibile all’abbattimento verso il valore minimo possibile delle emissioni chimiche degli scarichi automobilistici. Parlando di ‘automobili’ qui ci riferiamo all'insieme di tutto il sistema di trasporto propulso da motori a combustione interna, e in questo dobbiamo includere dunque locomotive diesel, autocarri, autobus, pullman e così via; quello delle emissioni chimiche delle grandi navi civili o mercantili e degli aeroplani rappresenta un capitolo a sé, grave e troppo spesso volontariamente (e colpevolmente) ignorato dai mezzi di comunicazione generalista, ma che esula dallo scopo di questo testo.

 
In Europa la prima grande battaglia fu, nella Germania degli anni '70 e’80, contro le ‘Saurer Regen’, le piogge acide che danneggiavano la salute degli uomini, gli edifici e le foreste tedesche. Un fattore quest’ultimo non marginale in una nazione che all'epoca aveva già acquisito una potenza industriale di primissimo livello ma nel quale la mitologia delle foreste conservava una sua potenza ideologica, strettamente legata all’identità nazionale. La difesa delle foreste, la lotta contro le piogge acide con le quali l'acqua della pioggia portavano al suolo e quindi sugli alberi tutte le emissioni tossiche degli scarichi delle automobili, in particolare SO2 e NOx, si sviluppò parallelamente alla violenta lotta politica contro l'energia nucleare, portando a numerose soluzioni alternative. Prima fra queste, direttamente correlata ad analoghe iniziative statunitensi, diventò quella della guerra al piombo tetraetile con la contestuale installazione su tutte le automobili dei convertitori catalitici ed altri dispositivi atti allo scopo.

 
E’ abbastanza inutile in questa sede ripercorrere tutta la storia, complessa e talvolta contraddittoria, delle normative tecniche volte ad abbattere emissioni chimiche nocive degli scarichi dei motori a combustione interna. Per quanto riguarda la situazione a noi più vicina, tutti conosciamo l'evoluzione dei vari motori etichettati come Euro 1, 2, 3, 4, 5 ora Euro 6. Si può tranquillamente dire che le emissioni attuali delle automobili recenti sono a dei livelli veramente bassissimi, tanto da costituire una minaccia veramente molto relativa per la salute. Il ricambio del parco circolante sembra dunque almeno in parte legato alla necessità delle Case automobilistiche di costringere i clienti a acquistare nuove auto in nome dell’ecologia quando un’auto Euro 6 di 7-8 anni va ancora perfettamente bene e inquina pochissimo. Giova qui ricordare che quando poi si parla delle tanto frequentemente menzionate (spesso a sproposito) ‘polveri sottili’, queste sono immesse nell’atmosfera non solo per la combustione all’interno di un motore diesel ma anche per la frammentazione dei pneumatici e della superficie stradale e sono quindi comuni a qualsiasi veicolo marciante indipendentemente dal sistema di propulsione adottato. Anche elettrico.

 
Comunque così come all'inizio del secolo decisioni eminentemente politiche e logistiche fecero orientare la produzione automobilistica e i gusti del consumatore verso il propulsore a benzina, e in epoca più recente verso quello a gasolio (ricordate quando il motore Diesel sembrava la panacea del trasporto?), ora un analogo sistema di pressioni politiche e normative ci induce a guardare all'automobile elettrica come il nuovo orizzonte, soprattutto per chi, come il sottoscritto, vive nella parte più centrale di una grande città come Bologna. In tutti i centri storici europei e in particolare in quelli italiani, caratterizzati da strada relativamente strette con edifici piuttosto alti (‘Brick Canyons’ negli USA), condizioni di ventilazione generalmente abbastanza calma e quindi poca dispersione degli inquinanti, ridurre la circolazione dei motori a combustione interna è diventato da anni una delle attività preferite di tutte le amministrazioni comunali.

 
Questo naturalmente non può che essere benvenuto nell’ottica della tutela della salute dei cittadini, anche se sarebbe corretto che la soppressione dei motori Diesel delle automobili private venisse contestualmente accompagnato dalla progressiva riduzione o scomparsa degli stessi motori dagli autobus e altri mezzi di trasporto pubblico. Il fatto che l’amministrazione pubblica obblighi il cittadino ad abbandonare il Diesel e non faccia altrettanto nei suoi mezzi è l’ennesimo esempio dell’asimmetria di comportamento del pubblico nei confronti del privato. Ma molta confusione regna anche fra le fila dei paladini dell’auto ecologica, come dimostra un sito che dovrebbe essere in prima linea nella difesa dalle piogge acide:
https://acidraingermany.weebly.com/environmental-factors.html

 

 

c. Scegliere l’elettrica, oggi
 


Inutile comunque fare polemica, se elettrico dev’essere, aderiamo. Ritengo anzi sia giusto, quindi già quattro anni fa, ben prima delle limitazioni oggi in atto, decisi di adottare la mobilità completamente elettrica per l'automobile da città. Non sono per niente convinto che le emissioni delle automobili siano la causa preponderante dell'inquinamento delle grandi città, che non calerà funchè non verranno aboliti anche riscaldamenti domestici a gasolio, gli scarichi industriali vari e vecchi autobus a nafta, ma ho voluto fare la mia parte, abbracciando la causa della mobilità elettrica per contribuire a ripulire l’aria della mia città. Lasciando in un mio ampio garage, fuori città, le mie automobili storiche e sportive tradizionali, che rappresentano la mia vera passione (e che però uso in effetti per poche occasioni all’anno).

 

http://www.stefanopasini.it/Cars-Index.htm


La prima decisione, che ritengo sia stata giusta sin dall'inizio e a cui quindi continuo ad aderire strettamente, è stata la scelta di un'auto completamente elettrica; un’auto a batteria, insomma, non una ibrida. Il perché e presto detto; avendo provato sin dall'inizio su strada e anche per periodi abbastanza prolungati le varie automobili ibride con le quali si è iniziato a offrire ai clienti una mobilità elettrica, ho ben presto capito che nessuna di queste mi convinceva; il passaggio continuo dal motore elettrico e quello a combustione interna è sinceramente sgradevole e il fatto di avere un doppio sistema di propulsione mi ha sempre fatto tornare in mente la famosa frase di Henry Ford, quando diceva che ‘tutto quello che non c'è non si rompe’. Raddoppiare il sistema di propulsione mi sembra una maniera di cercarsi dei guai. E questo lo dico nonostante le prime ibride che ho provato fossero di Case come Porsche o Toyota, sulla cui caratura tecnica non vi è assolutamente nessun dubbio.

 
Inoltre, l’ibrida a me sembra (scusate la brutalità) un po’ una furbizia da due soldi, cioè compro un'auto in parte elettrica perché così mi viene assicurata tutta una serie di facilitazioni, ma in città giro comunque col motore a scoppio. Circolando per le zone interne della città con le mie macchinine full-electric, ho spesso trovato davanti a me delle piccole Toyota o altre macchine del genere che al semaforo se ne stavano allegramente in attesa col tubo di scarico che vibrava emettendo la condensa del motore a scoppio serenamente acceso e funzionante… questo proprio nella zona a traffico limitato nella quale dovrebbero essere ammessi solo i veicoli elettrici. E non mi soffermo qui sulla furbizia tecnica degli ibridi cosiddetti ‘leggeri’ e altre cose del genere, diciamo semplicemente che per me, se dobbiamo essere seri, l’elettrico è un full-electric e non un ibrido di facciata.

 
Ho iniziato con una Citroen C-Zero, vettura agilissima (in fondo deriva dalla ‘Kei-Car’ Mitsubishi I-MiEV…) e piacevole all’uso ma davvero un po’ troppo spartana all’interno e con un’autonomia per me troppo ridotta. Una perfetta city-car con un orizzonte un po’ limitato e ‘range anxiety’ incorporata. Nel full-electric, certamente il pioniere con il prodotto più suggestivo è Tesla, soprattutto finora la Model S. Questa è un’auto che io ho sempre guardato con molto interesse: ritengo che sia il miglior frutto di un’avventura straordinariamente coraggiosa, di un personaggio che con tutte le sue stranezze e pazzie rappresenta uno comunque dei grandi innovatori del nostro tempo. Però sinceramente questi livelli di prezzo non mi sembravano giustificabili di fronte a una tecnologia ancora piuttosto acerba. Lo stesso vale per la Taycan; il mio amore per la Porsche, di cui sono sempre stato cliente affezionato, non si spinge al punto di giustificare un investimento così importante.

  


 d. Dolenti note

  

Ecco che arrivano le dolenti note: la povertà e insufficienza totale, sia quantitativa che qualitativa, delle infrastrutture di ricarica.

 
Sento già qualcuno che dice che questo non è nulla di nuovo, che si potrebbe evitare di ritornare sempre su queste cose, che tanto nel tempo verranno risolte, che sicuramente tutti stanno lavorando in questo senso, che è solo questione di avere un po' di pazienza e così via… invece io ritengo che sia bene sottolinearlo e insistere su questa problematica, perché questo è uno dei grandi e ragionevoli freni alla diffusione della mobilità elettrica. Ripeto: ragionevoli.

 
Le difficoltà infrastrutturali le conosco bene perchè sono da sempre quello che si dice, in termini di software, un ‘early adopter’ di tutte le tecnologie che mi interessano, dai computer all’audio alle auto. Ho iniziato a usare un'auto elettrica, quattro anni fa, perché sono convinto di questa necessità: però ho potuto farlo solo perchè ho un garage di mia proprietà sotto la mia abitazione quindi ho potuto attaccarmi alla mia rete elettrica per ricaricare la piccola Citroën C-Zero senza che ci fossero troppi problemi.

 
Non è il caso qui di andare nei dettagli delle difficoltà tecniche di contattare l’Enel X per avere la carta necessaria per accedere alle colonnine ricarica, e di accreditare la app per la stessa funzione, diciamo che è stata lunga e dura, moltissime telefonate, messaggi, di tutto, ma alla fine ci siamo riusciti. (Voi queste difficoltà non le avete avute? Fortunati. Molti miei amici hanno avuto le stesse difficoltà che ho avuto io.) Quindi card accreditata e possibilità di facile ricarica nelle colonnine pubbliche. E’ così? No, quasi mai. Posso parlare solo per Bologna, ovviamente, e anche per Firenze che è la città di mia moglie, non saprei a Milano o a Roma, ma qui da noi le colonnine di ricarica sono pochissime, in particolare vicino a dove abito io nel giro di 300 metri ce n'è una sola, per la cronaca in Piazza Roosevelt, le altre sono tutte più lontane. Quell'unica colonnina è a volte fuori servizio, altre volte occupata per ore intere dopo che la ricarica è finita da qualcuno che ha scoperto un facile semplice parcheggio con totale disprezzo degli altri utenti. (Una annotazione: in questo senso, l’utente di auto elettrica non sembra particolarmente meglio educato dell’utente di altri veicoli). Per fare un esempio, in questi giorni ho notato una piccola macchinina bianca di marca indefinita, sicuramente una costruzione semiartigianale di cui sinceramente manco conosco la marca, che ha occupato questa unica colonnina per molti giorni di fila, non si è mai mossa, tenendo occupato il parcheggio e la relativa colonnina semplicemente perché al guidatore faceva evidentemente fatica spostarla in un altro spazio di parcheggio, cosa che avrebbe lasciato la colonnina libera per un qualche altro utente (questo era prima che ci fossero le restrizioni relative al coronavirus, ovviamente).

 


 

Mappa colonnine Enel X di ricarica a Bologna (22 Maggio 2020). Vi sembrano abbastanza?
 


Un caso isolato? No, perché altre colonnine in giro per la mia città sono esattamente nella stessa condizione, con gli utenti di automobili elettriche che sfruttano i posti di ricarica come comodo parcheggio notturno senza avere reale bisogno di ricaricare l'automobile e quindi privando della possibilità di ricarica chi invece ne avrebbe bisogno. Naturalmente non c'è nessuno che controlli queste cose; l’Enel aveva adottato una iniziativa teoricamente lodevole, quella di fare pagare i tempi di ricarica a chi, dopo avere terminato di rifornire la propria auto, rimanesse inutilmente attaccato alla colonnina, ma l’ha poi inspiegabilmente sospeso durante il periodo dell’epidemia, e francamente non si capisce il perché. Cosa c'entra l'epidemia con la necessità di tenere le colonnine libere?

 
Poi c'è ovviamente il problema delle automobili con motore ‘normale’ (ICE, ‘Internal Combustion Engine’) che occupano abusivamente le colonnine di ricarica, ma, almeno a Bologna, queste sono fortunatamente molto poche. Più frequentemente sono le automobili elettriche dei servizi di noleggio Car Sharing (‘Enjoy’, ‘Corrente’ etc) che gli utenti, in assenza di altri parcheggi, ritengono giusto abbandonare nella piazzola di ricarica senza neanche attaccare il cavo, lì sono e rimangono: nessuna sanzione è prevista per questo abuso. Voi che avreste bisogno di attaccarvi alla colonnina, ovviamente, rimanete a piedi. In tutti i sensi.

 


Maleducazione  in car sharing. Nonostante l'auto non sia stata messa in carica, occupa l'unica piazzuola di ricarica di un parcheggio semivuoto...
 


Se qualcuno cerca di liquidare con superficiale sufficienza queste obiezioni come cose già sentite e ovvie, e che quindi ripeterle è reazionario e noioso, è meglio che cambi prospettiva facendo un robusto bagno di realismo. Parlare per teoria è nobile e non sporca le mani, ma chi veramente utilizza la modalità elettrica in città ha bisogno di avere i servizi di ricarica pronti e disponibili, non perennemente occupati, abusivamente o con diritto; e dunque di colonnine ce ne vogliono molte di più, rapide e disponibili. Altrimenti il paragone con la rapidità di riempimento di un serbatoio di benzina o gasolio rimarrà sempre perdente. Avete mai provato l'esperienza di attendere che si liberi una colonnina di cui avete bisogno per rifornire la vostra ecologicissima full-electric  occupata abusivamente dal furgoncino di un elettricista o dal SUV di una signora che fa la spesa? La necessità di rifornirsi, che dovrebbe essere un diritto garantito nel momento in cui si obbliga il cittadino a passare all’elettrico, è evidentemente un concetto di cui le autorità politiche si disinteressano completamente.

 
Noterete che fino a questo punto non ho fatto nessuna obiezione sul costo dell'energia elettrica di ricarica a casa piuttosto che alle colonnine, questo per ora lo accantono, stiamo parlando di mobilità elettrica per ridurre l'inquinamento e non per risparmiare denaro. Questo conto diventerebbe improponibile se consideriamo il costo dell’auto elettrica rispetto a quella a benzina: chi sottovaluta questo aspetto vada a confrontare i listini della 208 ICE e della versione elettrica. Non parliamo nemmeno della reale questione di fondo della mobilità elettrica a fini antiinquinamento, cioè dove viene prodotta l'energia (sorgenti in enorme prevalenza termoelettriche...) e come viene trasportata all'utente. Passiamo anche sopra a questo; sono questioni più grandi dei confini di questo modesto cahier de doléances.

 

 Però, anche volendo rimanere nel nostro orticello, bisogna affrontare il problema massimo delle full electric, che è la ricarica ed il corollario di range anxiety che ne consegue quando questa non è agevole. Ho premesso che per fortuna ho la possibilità di ricaricare nel mio garage personale, e questo mi avvantaggia. Però quando viene il momento in cui per avere un po' più di autonomia, di prestazioni, insomma di una migliore completezza complessiva dell'automobile decido che la piccola Citroën, per quanto agile, graziosa, molto piacevole all'uso cittadino, non è più sufficiente, nascono dei problemi. Per motivi familiari ho bisogno di un'autonomia superiore, altrimenti quando esco al mattino con la piccola elettrica debbo poi cambiarla in un garage satellite con un'altra automobile con motore a combustione interna per andare a fare giri a più lungo raggio. Non parlo di andare da Bologna a Milano, dico solo da Bologna a Faenza ad assistere un parente anziano, che sono 44 km. Con la piccola Citroën semplicemente non ci arrivo, cioè ci arriverei ma poi non avrei carica sufficiente a tornare indietro, e per la ricarica a Faenza…vedi sopra.

  


e. Una piccola Peugeot
 
 

Decido dunque di acquistare un'automobile elettrica un pochino più matura e moderna; niente di esagerato, certo, ma avrei gradito ad esempio la BMW i3, ia perchè stimo questa grande Casa bavarese sia per la sua affinità ereditaria con il progetto della mia adorata Audi A2, ma la i3 è già da un po' in tempo in commercio, aspettiamo una nuova versione aggiornata. Mercedes non fa elettriche di qesta categoria; mi sono sempre rifiutato di salire su una Smart; niente coreane, grazie. E l'industria nazionale come al solito brilla per la sua cospicua assenza da questo settore.

  

Dunque un'alternativa francese, per una volta: la nuova Peugeot 208 elettrica mi è subito sembrata un'automobile ben fatta, un buon progetto complessivo, costruita in maniera qualitativamente più che convincente e con le caratteristiche sia come prestazioni che come autonomia adatte a quello che sto cercando. Pertanto procedo all'acquisto con la formula del noleggio, in maniera da non rimanere eccessivamente penalizzato dall' avanzamento tecnologico futuro, che posso prevedere sarà piuttosto rapido e quindi mi metterà nella necessità di cambiare la vettura nel giro di un paio d'anni, aspetto qualche mese per la consegna e finalmente arriva la e-208.

 
Prima di decidere a questo acquisto avevo naturalmente provato su strada la 208 elettrica, trovandola ben costruita e rifinita, con un interno molto confortevole e una strumentazione molto buona per quanto riguarda la parte navigazione, molto meno per quanto riguarda il pannello principale dietro al volante. L'idea, ampiamente pubblicizzata a livello di marketing, di mettere la strumentazione al di sopra della corona del volante è realizzata in maniera approssimativa, perché la strumentazione stessa non è collocata abbastanza in alto e se si vuole che il volante non la copra si è costretti a tenere il volante stesso semplicemente troppo basso. Viene da pensare, non senza qualche nostalgia, alla Porsche 928 che già nel 1978 aveva volante e strumentazione collegati in maniera tale che comunque si alzasse o si abbassasse il volante, il pannello degli strumenti lo seguiva e quindi non veniva mai coperto dallo stesso… già, ma questa era una Porsche.

 

Peccato che l’infotainment della 208 sia piuttosto insoddisfacente, molto vistoso ma ergonomicamente poco efficace: a prima vista accattivante ma fin troppo complesso, con comandi vocali molto poco ricettivi e soprattutto la sezione telefono (quella che dovrebbe essere più facile e intuitiva per ovvie ragioni di sicurezza) decisamente dispersiva. Poi con un prezzo di listino per la 208 motore elettrico 136 CV 5p. GT Line di ben 36.600 Euro…nemmeno una luce nel cassettino portaguanti? Andiamo…

  

 Sempre parlando del sistema di infotainment interno, la e-208 si presenta inizialmente molto bene ma nel medio termine riesce a essere irritante per alcune cose non marginali, ad esempio il continuo e persistente non funzionamento della app ‘MyPeugeot’ con la quale, secondo il costruttore, si dovrebbe poter controllare dallo smartphone la carica della batteria della vettura e predisporne il riscaldamento o il condizionamento prima di entrarvi, ma che all'atto pratico non funziona e che fra l'altro spedisce in continuazione all'utente avvisi quasi minacciosi dicendo che ‘il servizio è stato disconnesso’. Da chi? Perché è stato disconnesso? Perché mi mandate questi avvisi se non me lo avete mai nemmeno attivato e io non ho mai potuto utilizzarlo? Insomma, un'app sostanzialmente inutilizzabile, come dimostrano anche i numerosi post sui vari forum elettrici relativi allo stesso problema di molti utenti.

 

Più grave, dal punto di vista del puro e semplice disegno tecnico, è il fastidio dei forti riflessi che vengono dalla cornice di metallo cromato inserita, per esclusivi ed ovvi quanto discutbili scopi estetici, alla base del grande schermo centrale della plancia.

  

  

Questa lamina metallica, quando il sole batte dall'alto, sembra fatto apposta per abbagliare il pilota mandandogli in faccia dei riflessi fortissimi. Anche in questo caso ci si domanda come mai sia stata fatta una cosa del genere e come mai nessuno, nei collaudi pre produzione, abbia ritenuto di eliminare questo difetto. Io mi sono trovato costretto a mettere una striscia di materiale adesivo nero opaco a coprire questo profilo metallico per ridurre il fastidioso abbagliamento. Certo, ci sono anche delle cose fatte bene; nell'epoca della connessione continua, anche se la app dedicata MyPeugeot non va, almeno abbiamo due prese USB e la comoda possibilità di ricarica a induzione dei telefoni, anche se è un optional da chiedere a parte, è interessante sapere che c'è.

 

Per il resto, tutto secondo le mie necessità: autonomia reale circa 240-260 km, che soddisfa le mie esigenze di range con un consumo medio nell'utilizzo misto città/autostrada di circa 18 kWh/100Km, ottima dotazione di bordo soprattutto nella versione GT Line da me scelta, anche piuttosto piacevole l'estetica complessiva; non mi sono sorpreso quando i colleghi giornalisti internazionale dell'automobile hanno assegnato alla Peugeot 208, nel complessivo delle sue versioni, il titolo di ‘Auto dell'Anno’ (COTY) 2020.

  

 

Naturalmente non è plausibile l'idea di caricare le batterie della e-208 (45 kWh) con lo stesso sistema adottato prima per quelle della piccola Citroën C-Zero, cioè con il solo caricabatterie a bassa potenza di serie. Diventa necessario adottare un Wall Box (o ‘Wallbox’, o ‘Wall-Box’? ognuno lo scrive come vuole), cioè un apparato di ricarica dedicato a questo servizio e con potenze diverse a seconda della velocità disponibile e da ciò che si desidera. Ben sapendo che non avrei mai potuto installare in garage una vera e propria colonnina di ricarica ad alta potenza, ho comunque fatto due conti e dopo aver fatto le doverose indagini con i tecnici del settore, ho pensato che un Wall Box da circa 7,4 kW fosse la soluzione ideale per ricaricare la e-208, anche nel caso arrivassi a casa con la batteria piuttosto bassa, più o meno in una nottata durante la fascia F3.

  

  

Tre diverse prese per ricarica di auto elettriche

  


f. Standardizzare, no?

 
 

Nello scegliere che Wall Box acquistare mi sono poi dovuto confrontare col problema della presa di ricarica, Tipo 2-Mennekes per la Peugeot ma non adattabile a altre auto, e così ancora una volta si parla di un settore dove tutti sembrano andare un po’ per la loro strada, senza una strategia comune. Perché non standardizziamo le prese una volta per tutti, ‘Presa Tipo 2-Mennekes’ o ‘CCS Combo 2’ obbligatoria e non se ne parla più?


Ma visto che si parla di mobilità elettrica è utile a questo punto ricordare che la distribuzione dell'elettricità, la forza che realmente ha cambiato il mondo negli ultimi tre secoli, non è esattamente un esempio di standardizzazione e vede anzi una straordinaria varietà globale di voltaggio, frequenza, connessioni. Se negli Stati Uniti, ad esempio, l'elettricità domestica viene distribuita a 110 Volt con una frequenza di 60 Hz, in Europa viaggiamo abitualmente con 220 V e 50 Hz, con le complicazioni che questo crea, per esempio, nel caso dei motori sincroni per utilizzo domestico. Chiunque abbia acquistato un giradischi negli Stati Uniti o in Giappone e abbia provato a utilizzarlo sulla rete elettrica nazionale sa di cosa parlo, a meno che non compri a Tokio un Denon DN-308 con voltaggio 110 e frequenza a 50Hz…

 
In fatto di standardizzazione dell’elettricità di uso domestico, poi, vogliamo parlare dei connettori? Certo quella dell'elettricità è un campo molto particolare, in questo senso. Sin da quando Edison si trovò e inventarsi completamente ex novo il sistema elettrico, dalla lampadina al portalampada, dei fili alle prese, dalle spine a tutte le altre componenti di questo complesso, sembra che in giro per il mondo una delle principali attività dell'industria sia stata quelle di creare standard a sè stanti, in competizione diretta una con l'altro. Guardiamo alle spine per prese a muro: lo standard IEC 60320 ci dice che gli americani hanno il loro tipo ‘A’ a due poli rettangolari o la ‘B’ con due poli più contatto di terra, ma se si passa in Europa abbiamo la CEE 7/16 a due poli classica ‘piccola’, la 7/17, la 7/14 che è la classica ‘Schuko’ tedesca, massiccia, con due contatti laterali di terra e non inseribile nell’alloggiamento della 7/16, poi ci sono i tipi ibridi, quella inglese che ha tre contatti a sezione rettangolare disposti a triangolo, fra l'altro dotate di solito di fusibile; altri Paesi si sono fatti le ‘loro’ prese, creando una marea di altre variabili con le quali è abituato a fare i conti chiunque abbia viaggiato molto in giro per il mondo.

 
La cosa non migliora se si parla dei connettori (‘appliance couplers’) dall'altra parte della spina, cioè quelli che si inseriscono in un apparecchio elettrico o elettronico per fornirgli energia. A meno che non vi sia un cavo fisso, infatti, l'apparecchio avrà una presa femmina in cui viene inserito il cavo, il cosiddetto ‘accoppiatore’, e anche qui esistono cospicue e multiple differenze. L’accoppiamento per collegare un rasoio elettrico, denominato C1/C2 (la prima sigla è la spina, la seconda la presa femmina), è molto simile al C7/C8, ma in realtà non è intercambiabile con quest’ultimo, ampiamente utilizzato per gli alimentatori di potenza non molto elevata, per computer e altri apparecchi elettronici. Se dovete collegare un apparecchio elettronico della scuola tedesca, un alimentatore da computer, un PC, un giradischi professionale o altri apparecchi di questo calibro, quasi sicuramente troverete la coppia C13/C14, molto simile ma non intercambiabile con la C15/C16 che ha gli stessi contatti ma ha un dente di localizzazione per segnalare che questa è la spina dedicata agli apparecchi che possono raggiungere temperature elevate, come i bollitori da tè; il connettore che va in questa sede deve avere caratteristiche particolari non richiesti alla C13/C14. Potete avere anche una C19, che ha sempre tra i contatti arrangiati a triangolo ma sono a sezione rettangolare anzichè tonda, e la Revox, tanto per rendere le cose più difficili, anziché il classico C13/C14 tedesco usa nei suoi apparecchi classici il C9/C10 a due soli poli… insomma, si può parlare di una scelta pressoché infinita che fa sì che quando avrete bisogno di un determinato cavo in fretta e furia quasi sicuramente ne troverete molti con una spina non adattabile al vostro apparecchio, con tutte le complicazioni che ne discendono.

 
E’ ovvia la constatazione che solo alcuni di questi ‘couplers’ si differenziano da altri per specifiche ragioni professionali, come la C15/C16 rispetto alla C13/C14, mentre altre sono semplicemente una specie di differenziazione commerciale; dall’altrettanto ovvia considerazione che armonizzare tutti i componenti di un sistema giova praticamente a tutti, in primo luogo ovviamente all'utente, dovrebbe derivare che l'industria dell'automobile elettrica dovrebbe cercato in qualche maniera di standardizzare i suoi connettori di ricarica, ma naturalmente non è così. Ce ne sono almeno sei e quando arrivate alla tanto agognata colonnina la presa libera è sempre quello che non vi serve. Perché non adottare un unico standard? Eppure nel passato si è ben visto che certi tipi di guerra commerciale fra standard non hanno giovato assolutamente all'industria. Nel campo elettronico molti ricordano la guerra nei videoregistratori fra il sistema europeo Video 2000, il VHS e il Betamax della Sony, quest'ultimo probabilmente il migliore dei tre ma dal punto di vista commerciale sovrastato dalla moltitudine di fabbricanti che adottarono il VHS. Risultato, uno standard ottimo praticamente accantonato a favore di uno meno valido ma massificato e tanti soldi spesi in una guerra commerciale inutile. La stessa cosa si è poi ripetuta con le cassette digitali DCC contro il DAT e altre cose del genere. Non che i responsabili di un settore tradizionalmente serio come quello ferroviario abbiano fatto di meglio; basta considerare quanti diversi scartamenti esistano oltre al classico 1435 mm e quanti tipi di alimentazione elettrica vediamo convivere ancora adesso in giro per la sola Europa per rendersene conto. Almeno in questo caso è intervenuta una necessaria standardizzazione per le linee ad alta velocità e l’alimentazione a 25000 Volt è ormai un ‘Gold Standard’, cosa meno evidente nelle linee normali. Sospettiamo che in parte anche questa sia un’eredità dei periodi bellici, quando avere linee ferroviarie incompatibili con quelle dei confinanti era considerato un utile baluardo all’avanzata dei convogli di rifornimento del nemico in caso di guerra.

 
Anche in questa epoca di globalizzazione, per l'auto elettrica convivono almeno sei tipi di prese delle quali tre possono essere considerate quelle più importanti, ma rimane il fatto che non c'è un indicazioni univoche e se io prendo una Wall Box con cavo fisso e presa tipo 2-Mennekes rischio poi, se cambio automobile, di dovere cambiare tutta la Wall Box stessa. Considerato che il costo di questo solo componente viaggia dai 500 ai 1000 €, non sarebbe male che ci fosse una standardizzazione anche in questo senso, che avrebbe un effetto tranquillizzante sull'utente.

 
Bene, acquistata auto e Wall Box mi sono dovuto rimettere in contatto con il distributore elettrico, anche in questo caso affrontando una marea di discussioni dovute (colpa mia, in questo caso) all’esistenza nella mia vita di vari contratti di casa, dei garage e dell' ambulatorio, la differenza fra Enel e Servizio Elettrico Nazionale e varie altre cose, ma finalmente, avendo trovato delle persone gentili e disposte a collaborare anziché a mettere bastoni fra le ruote (come troppo spesso accade in questi casi) sono riuscito a ordinare un upgrade della potenza di ricarica per il mio contratto dagli attuali 4,5 kW a 9 kW. Abbiamo pensato all’upgrade a 9 kW perché per caricare la vettura nel corso della nottata con un Wall Box di potenza ‘standard’ sarebbe necessario avere una potenza disponibile di 7,4 kW ma si deve mantenere un certo margine di sicurezza per l'utilizzo di un elettrodomestico e di qualche luce in casa. Premetto che gli stessi tecnici del Servizio Elettrico Nazionale mi hanno consigliato caldamente (e, credo, giustamente) di mantenere un unico contatore per la casa e per l'automobile, anche quando io avevo chiesto se non sarebbe stato il caso di sdoppiare l'utenza.

  


g. I problemi degli 'altri' sembrano sempre roba da poco
 

 

E qui casca l'asino. Perché quando è venuto il tecnico deputato a realizzare materialmente questo upgrade ha stabilito anche nella mia zona, pieno centro storico, cioè dove la mobilità elettrica è più utile e il Comune vorrebbe farla diventare obbligatoria ed esclusiva già nel 2025, non è possibile fare un upgrade del mio contratto a 9 kW. I cavi della rete elettrica principale, cioè a monte del mio contatore, non possono portare questo tipo di potenza; se avessi proprio voluto arrivare a 9kW si sarebbe dovuto cambiare tutta una serie di cavi con una spesa a mio carico molto elevata (già così, ho dovuto sborsare alcune centinaia di euro per fare l’upgrade del mio contratto). Inoltre nelle viscere di un palazzo del ‘400 come quello dove abito non si possono nemmeno far passare troppi cavi aggiuntivi per montare analizzatori di corrente e così via; i cavi maggiorati per i 9 kW sono passati bene, io ho fatto predisporre l’impianto a norma ma a monte del mio impianto ho un collo di bottiglia irrimediabile, non per colpa mia ma delle infrastrutture, diciamo così, pubbliche. Il massimo che si è potuto fare è stato passare il contratto a 7 kW ma la maggior parte dei Wall Box in commercio è a potenza fissa, attorno a 7,4 kW; per fortuna è previsto un 10% di ‘sforamento’ possibile nell’erogazione e quindi, ricaricando di notte quando la casa non ha nessun servizio elettrico acceso, si può fare. Ma il limite è evidente, non posso mettere un caricabatteria più veloce e l’utilizzabilità della mia ‘elettrica’ finisce per essere fortemente e ingiustamente penalizzata. Senza contare che così non si può fare andare lavatrice o lavastoviglie durante le ore di tariffa più conveniente assieme alla ricarica dell’auto. Insomma, se io decidessi di acquistare una Porsche Taycan, con il suo sofisticato sistema di a 800 Volt e la fame di energia ovviamente legata alle sue esplosive prestazioni assolute, poi dovrei assoggettarmi a tempi di ricarica lunghissimi; e questo non per colpa dell'auto o dell'utente, ma della insufficienza delle infrastrutture che le autorità cosiddette 'competenti' non adeguano alle esigenze di quella mobilità elettrica che vorrebbero imporre al mondo.

  


La nuova Porsche Taycan Turbo S. Un vero goiello di tecnologia, senz'altro la migliore full electric in commercio, ma dove troveremo le infrastrutture di ricarica?
 

 

Cosa succederà a queste vetuste, insufficienti infrastrutture elettriche se e quando la popolazione decidesse di abbracciare, più o meno obtorto collo, i diktat del comune e si dedicasse quindi univocamente alla mobilità elettrica? Qualsiasi condominio nel quale una dozzina di famiglie dovesse richiedere un contratto di almeno 9kW per la ricarica della propria auto elettrica finirebbe per passare agevolmente la soglia dei 100kW oltre i quali l’Enel richiede la costruzione di una cabina di distribuzione, con i costi che ne conseguono. Questo aiuta a capire che le elettrificazioni di massa della mobilità finiscono per essere una di quelle utopie ambientaliste che si scontrano, almeno per ora, con una realtà pratica difficilmente comprensibile e sicuramente non gestibile dalle attuali infrastrutture. Le quali, fra l’altro, difficilmente potranno affrontare cospicui investimenti nel post-Covid.

 
Ho cercato un Wall Box che avesse una possibilità di modulare la corrente di ricarica, ma i fornitori principali o non li hanno (cioè sono disponibili apparecchi con potenza d'uscita sempre fissa a 7,4 oppure a 3,7 kW) oppure hanno dei caricabatterie regolabili dal costo molto più elevato, oltre 1200 €, mentre nessun contributo al riguardo viene dalle Case automobilistiche, né dalla Regione o da altre strutture pubbliche come contributo alla carica domestica dell'automobile elettrica. Non si paga la tassa di proprietà, per ora, ma per un’auto della classe della e-208 non è una cifra stellare. Ci si chiede con quale serietà il Comune di Bologna voglia imporre ai cittadini la mobilità elettrica senza fare il suo dovere nel predisporre le necessarie infrastrutture.

  

Magari l'auto stessa potrebbe prevedere la possibilità di modulare l’assorbimento nel corso della ricarica della batteria; purtroppo la mia (qui parlo della Peugeot e-208 ma credo che anche la maggior parte delle altre full-electric abbiano più o meno la stessa caratteristica) non consente di regolare questo assorbimento, una cosa che sarebbe utile e penso tutto sommato abbastanza facile da implementare. E’ auspicabile che i costruttori prendano coscienza del fatto che per molti utenti le infrastrutture di ricarica sono sostanzialmente ancora piuttosto problematiche e agiscano di conseguenza, rendendo più flessibile l'interfaccia fra l'automobile e la rete elettrica di ricarica, permettendo cioè di regolare la potenza assorbita in ricarica dalla centralina principale dell'automobile. Dal momento che è già prevista la possibilità di temporizzare la ricarica quando fa più comodo, ad esempio nelle ore notturne (funzione effettivamente molto utile), ritengo che modulare anche la potenza richiesta di ricarica non sarebbe un grosso problema e faciliterebbe molto l'adattamento delle automobili elettriche all'ambiente metropolitano.

 
Anche l’automobile potrebbe fare la sua parte, per esempio iniziando a dotarsi di impianto fotovoltaico autonomo. Se ne parla da anni eppure solo Toyota e E Hyundai sembrano crederci, sia pur tiepidamente. E gli altri? La mia Peugeot e-208 ha un tetto in cristallo bello quanto inutile; perchè non sostituirlo con un pannello fotovoltaico? Ho sentito dire (da dirigenti di industrie dell'automobile, non da tecnici da bar): ma tanto con questo sistema si produce pochissima energia. E allora? Lao Tzu disse che 'Un viaggio di mille miglia inizia sempre con il primo passo.' Facciamolo lo stesso, magari nel tempo diventerà qualcosa di più di un semplice passo. Quando l'auto rimane parcheggiata all'aperto potrebbe ottenere una ricarica almeno parziale a costo zero, aderendo ancora più strettamente al concetto dell'energia totalmente rinnovabile, impatto zero e così via. Eppure non si fa: forse questo non va bene perchè intaccherebbe i profitti dei fornitori di energia?

 
Insomma, questi sono tutti problemi che rimangono e sono molto importanti. Anche i costi della vostra piccola infrastruttura domestica vanno valutati: oltre ai 378 Euro di lavori vari del SEN, ho speso 1.200 Euro di lavori elettrici per il passaggio dei cavi di potenza e relativa impiantistica, 550 per il Wall Box, un totale di più di 2.000 Euro prima ancora di sedermi al volante della e-208. Certo, l’energia per la ricarica permette di risparmiare, ma quanti anni dovrei guidare ‘solo elettrico’ per recuperare queste spese? E rimane sempre il fatto che quando arrivo a casa debbo svolgere il cavo, aprire il bocchettone, inserire la spina, controllare il timer di ricarica e la mattina, prima di partire, ripetere la procedura all’inverso. Non tutti, specie se di una certa età, vogliono affrontare queste contorsioni: molti rinunciano all’elettrica anche per questo. Gli schemi di cambio rapido delle batterie naufragano miseramente da anni, le ricariche ultrarapide sono pochissime, il rifornimento veloce d’energia rimane un miraggio. Alla faccia di chi vuole colpevolmente sottovalutare queste questioni, alzando le spalle e dicendo che sono dettagli, ma spesso parla solo per teoria e in realtà continua a guidare un’auto con motore a combustione interna o tuttalpiù una mild hybrid: questi sono problemi che rendono effettivamente molto diffidenti tutti coloro che potrebbero passare all’auto elettrica e per ora aspettano a farlo proprio per queste difficoltà.

 
Per quanto mi riguarda, essendo io conosciuto nell’ambiente come appassionato di automobili di lunga data e di gusti ecumenici, molti mi chiedono un parere sulla mia auto elettrica, e a tutti ripeto le stesse cose, un doveroso avvertimento: la full electric è piacevolissima se abitate in una villa in cui potete fare montare le linee elettriche che vi pare, e magari anche farvi un’installazione fotovoltaica privata; ma allora forse non avete bisogno neanche di un'auto elettrica. Mentre se abitate nel centro storico di una città antica, dove l'auto elettrica viene ormai imposta per legge, come accade a Bologna, state molto, molto attenti perché potreste trovarvi a lottare duramente per affermare qualche vostro diritto e trovarvi poi alla fine ad affrontare delle amare e costose delusioni.

  

 

h. In Cauda Venenum

 
Perché alla fin fine, ricordatevelo bene, questa dell'auto elettrica non è come potrebbe sembrare una giusta lotta all'inquinamento: non è una pura e semplice critica al motore a combustione interna. E’ una guerra all'automobile, intesa come mezzo di mobilità personale e privata che le autorità politiche vogliono limitare, ostacolare, possibilmente sopprimere. Chi, come il sottoscritto da residente in un centro urbano si scontra ogni giorno con le mille difficoltà, i costi, le complicazioni tecniche e burocratiche create ad arte dalle amministrazioni locale e centrale, ha la netta sensazione, credo non infondata, che questi cambino continuamente le regole del gioco, durante il gioco. Se pensate di acquistare un'auto elettrica dovete essere preparati all'idea che come ieri un’amministrazione locale ha follemente deciso di chiudere il traffico ai diesel Euro 6 (con lo sberleffo successivo di vedere l'inquinamento da PM salire anzichè scendere...), così domani bloccherà le ibride e poi anche le full electric, trasformando la lotta all'inquinamento nel pretesto per una sempre più feroce ‘Congestion Tax’, come è successo a Londra. L'inquinamento non è il vero pensiero di questi politici: altrimenti i filobus con trazione ibrida Skoda 'BlueDrive', a Bologna, non andrebbero quasi sempre col solo motore Diesel; e si dovrebbe fare una drastica purga dei motorini a due tempi, questi sì inquinanti e molto, prima di pensare a escludere dal centro i Diesel Euro 4 e simili.

  

Acquistare un'auto elettrica è diventata per molte persone un obbligo legato alle costrizioni, in larghissima parte del tutto irragionevoli, delle amministrazioni pubbliche. Queste in tal modo accontentano gli strepitanti ecologisti militanti, si ripuliscono la coscienza sventolando il vessillo ecologico, vanno almeno apparentemente incontro alle esigenze di un'industria che è disperatamente alla ricerca di un ricambio immediato del parco circolante (che sarebbe tecnicamente non necessario) ma si voltano poi tranquillamente dall'altra parte di fronte alla assoluta indispensabilità di fare la loro parte, cioè di provvedere alla costruzione di infrastrutture qualitativamente e quantitativamente all'altezza di una possibile futura motorizzazione elettrica di massa. Ovviamente chi acquista un'auto elettrica per ragioni esplicitamente ecologiche ignora, per sua ignoranza o malafede, che la corrente elettrica viene comunque generata in massima parte da enormi centrali termoelettriche funzionanti a derivati del petrolio, con solo una minima parte derivata da fotovoltaico e eolico.

 

E' del tutto inutile dire che poi verrà chissà quale rivoluzione sulle energie rinnovabili, questa per ora non c'è; procedere ora con l'imposizione totale della mobilità elettrica vuol dire semplicemente spostare l'inquinamento da un punto all'altro della catena produttiva dell’energia. E a proposito di malafede, inutile forse illustrare a chi non vuol sentire che i particolati PM10 e inferiori, tanto di moda sulla bocca di tutti quando si parla di inquinamento, sono prodotti anche delle automobili elettriche con il semplice lavoro di usura dei pneumatici e dell'asfalto, e che anche le auto elettriche le rimovimentano continuamente. Questo perché manca una strategia continuativa di pulizia delle strade (quella che, chissà perché, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato inutili…come secondo loro erano le mascherine durante la fase emergenziale del Covid 19, ricordate?), che aiuterebbe a liberare il suolo pubblico da tutti questi particolati e quindi a ripulire sostanzialmente l'aria.

 

Lasciamo perdere le mostruose necessità di ricarica di automobili come la Porsche Taycan ‘Turbo S’ con i suoi 700 kg di batteria, parliamo semplicemente di chi, forzato dalle normative locali a parcheggiare la sua automobilina diesel o benzina, dovrà acquistare un'automobile elettrica. Chi gli darà i soldi? Tanto più in questo momento di grave crisi economica come si può pensare di costringere tutti a spendere 36.000 Euro come ci chiede ad esempio la Peugeot per la sua e-208 mentre la stessa ottima piccola automobile in versione benzina costa la metà? Il MIT Technology Review stima che il costo delle batterie per uso automotive parta da US$225 per kWh nel 2020, dunque perchè tanto divari fra prezzi ICE e full electric? E poi non si può certo dire che l'inquinamento di una piccola Diesel Euro 6 sia terribilmente diversa da quella di una elettrica: allora parliamo di una trama molto diversa, cioè di decisioni politiche che con l’arbitrio di bloccare le automobili a combustione interna, offrendo la sola alternativa dell'elettrico, mira in effetti a mettere i cittadini nella concomitante impossibilità di usare l'una e di acquistare l'altra. Mettendo così tutti o quasi, di fatto, a piedi.

 
E’ una guerra alla libertà di movimento individuale, quella che il grande David E. Davis Jr. magistralmente descrisse come “The Freedom of Wild Ducks” (da ‘Road Trips, Head Trips, and Other Car-Crazed Writings’, Jean Lindamood, Atlantic Monthly Press) quando a proposito delle auto scoperte scrive “….pensate che un viaggio veloce lungo una strada vuota su un’auto scoperta possa risollevare il vostro cuore e accendere i vostri sogni? Certo che lo farà, meno che non abbiate né cuore né sogni. Le automobili ci trasportano non solo nel senso di portarci da casa al lavoro, ma insegnandoci una parte della nostra vita che altrimenti avremmo potuto mancare. Esse riportano il divertimento nella guida e ci ricordano di un tempo quando le automobili rappresentavano l’apice del progresso umano e quelli che le disegnavano, costruivano e guidavano erano eroi.

 
Le amministrazioni pubbliche odiano questa libertà, il piacere dell’auto privata. Limitando il traffico in città anche alle auto full electric, i politici negano in effetti i presupposti antiinquinamento su cui si fonderebbe questa nobile lotta, modificando arbitrariamente i termini della questione e soprattutto le regole del gioco, penalizzando chi investe i propri denari sulla base delle regole oggi dichiarate (e, tutti dovrebbero capirlo, uccidendo così una delle più importanti galline dalle uova d’oro dell’economia italiana, l’automobile e il suo sterminato indotto). Noi, giocatori che ci siamo seduti a questo tavolo cercando di rispettare le regole sulla base di quanto promesso all'inizio della partita, non possiamo fare altro che perdere quando chi tiene il banco cambia le regole durante la parita. Alla fine, tutti in giro in monopattino. Forse nemmeno più elettrico.
 

 

Stefano Pasini, 18/05/2020

  

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