Mobilità elettrica, un'utopia
moderna
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a. Un po’ di storia
Chi conosce a fondo la storia
dell'automobile sa bene che l'elettricità è tutt'altro che
un'innovazione assoluta, dal momento che le prime auto erano in larga
parte elettriche e non erano certo lumache: il primo veicolo a passare i
100 km all'ora (nel 1899!) è stata proprio un'automobile elettrica del
belga Camile Jenatzy. La ‘Jamais Contente', stranissima automobile
perfettamente profilata come un siluro dal quale però il guidatore
emergeva con tutto il torso, era naturalmente limitata dalle tecnologie
dell'epoca ma così come il motore a scoppio era ancora negli stati della
sua neonatalità, avrebbe potuto svilupparsi in maniera molto rapida ed
efficiente. Dopo che Planté e Faure e altri trovarono il modo rendere
(relativamente) rapida la ricarica delle batterie stesse ci fu una prima
diffusione di veicoli elettrici, soprattutto in UK e USA. La tecnologia
degli accumulatori era certamente un enorme problema allora come adesso,
ma avrebbe potuto essere risolto; solo che non ci potè essere
concorrenza da quando la benzina, raffinata a poco prezzo del petrolio
che si iniziava a trovare in grande abbondanza, poté essere distribuita
in maniera rapida e capillare su tutte le strade. Eppure l’elettricità
aveva pregi enormi in termini di silenziosità, assenza di rumori (il
motore a scoppio non aveva ancora silenziatori, dunque era
fragorosissimo, e si avviava tramite manovella, fortuna che ci pensava
lo chauffeur), facilità d’uso. Erano auto eleganti: la collezione
Domus-Quattroruote ospita una bellissima ‘Ohio Electric’ del 1912, un
silenzioso fiacre elettrico con un sontuoso interno.
La mobilità
elettrica ebbe all’epoca illustri paladini di alto profilo, primo e più
famoso fra tutti il professor Ferdinand Porsche che già 120 anni fa
propugnava la sua ricetta per una propulsione ibrida che denominò
sistema ‘Mixte’: motori a scoppio che caricavano batterie tampone le
quali a loro volta alimentavano i motori elettrici sistemati in due
ruote motrici (anteriori) o addirittura in tutte e quattro. Suona forse
familiare agli utenti delle attuali ‘ibride’? In uno dei modelli che il
giovane elettricista boemo sviluppò nel 1900 per l’austriaca Lohner,
Ferdinand Porsche andava un passo ancora più avanti realizzando un
veicolo a propulsione ibrida con quattro ruote motrici e sterzanti.
Durante la Grande Guerra, Porsche portò avanti questo suo concetto
realizzando una serie di trattori militari per l'esercito del Kaiser,
macchine apparentemente di buone prestazioni, ma di cui non sono
sopravvissuti esemplari museali.
Nel frattempo
l’idea della mobilità elettrica veniva portata avanti da alcuni
fabbricanti, con buoni risultati (si calcola che all’inizio del XX
secolo circolassero nel mondo fra pubblici e privati circa 30.000
veicoli elettrici, un numero rilevante considerata la ridotta dimensione
del parco circolante totale) che sicuramente sarebbero anche aumentati
in maniera cospicua, se non fosse che il motore a combustione interna
alimentato a benzina era ormai diventato straordinariamente economico
sia come costruzione che come rapidità e capillarità dei rifornimenti;
dunque vediamo qui la prima applicazione di un concetto che ritroveremo
ai giorni nostri, cioè la dipendenza di una vicenda tecnica, in questo
caso la scelta di un sistema di trazione, da dettami politici e
problematiche infrastrutturali più che da argomentazioni tecnologiche.
La propulsione a vapore, tanto promettente all’inizio, venne penalizzata
dal lunghissimo tempo di riscaldamento della caldaia mentre la
possibilità di ridurre questi tempi, lasciando per così dire ‘al minimo’
la caldaia e la sua luce spia durante i tempi di non utilizzo, dovette
essere abbandonata per ovvie ragioni di sicurezza, condannando la
propulsione a vapore a scomparire dal mondo automobilistico. Rimase in
auge nel settore ferroviario dove l’elettrificazione delle linee, pur se
applicata in USA già dal 1895 (quattro miglia della Baltimore and Ohio
Railroad verso New York) e dal 1896 in Europa con lavori pionieristici
della svizzera Oerlikon (la prima linea ferroviaria completamente
elettrificata venne installata nel 1902 in Valtellina), richiedeva però
investimenti infrastrutturali che vennero effettuati con molta
gradualità. Per le ferrovie il vapore andava ancora bene, visto che i
tempi di avviamento e la manutenzione del boiler in queste applicazioni
non rappresentavano un problema. Comunque, anche nel settore ferroviario
la realizzazione di adeguate infrastrutture (l’elettrificazione
progressiva delle linee, di cui furono pionieri gli svizzeri con le loro
magnifiche ferrovie di montagna fra Alpi Retiche e Jungfrau) permise di
relegare a macchine per linee secondarie, o addirittura a esclusivi usi
museali, sia la trazione a combustione interna che esterna.
Per
inciso, Porsche continuò a credere della bontà dei motori elettrici per
tutta la vita e anche se fu costretto a cedere a motorizzazioni più
convenzionali sia per le sue Auto Union da Grand Prix che per il suo
progetto più famoso, il ‘Käfer’, però nella sua veste di progettista di
mezzi corazzati estremi per il Fuhrer continuò fino al 1944 a progettare
carri armati mossi dal sistema Mixte, una dinastia che ebbe il suo
culmine nel colossale ‘Maus’ da 100 tonnellate.
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Lohner-Porsche a trazione anteriore
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Si può ricordare che durante
la Seconda guerra mondiale, per ovviare ai problemi causati dall’ovvia
carenza di carburante per mobilità civile, vennero realizzati vari
veicoli elettrici, la maggior parte dei quali scomparsi come quelli
della Stigler e il quasi contemporaneo esemplare unico su ugual base
meccanica per il Patron della Mille Miglia Franco Mazzotti, tutti
carrozzati dalla Touring (probabilmente su disegno di Carlo Revelli di
Beaumont) nel 1940-41, mentre i furgoni per la distribuzione a Bologna
della birra ‘Ronzani’ erano tutti elettrici.
Visto poi che fra poco
si parlerà dei prodotti di una nota Casa francese, è bene ricordare che
nel 1941 la Peugeot propose la Voiture Légère de Ville (vettura leggera
da città), vetturetta che offriva un’autonomia di 80 km a 35 km all'ora
per uso evidentemente solo cittadino ma che rappresentava una
possibilità di movimento in più in quei momenti difficili. La Peugeot ha
poi messo in produzione limitata negli anni ’70 ed ’80 versioni
elettriche della 104 e 205, seguite dalla 106 elettrica, venduta tra il
1995 e il 2001; la iOn (2009) poi il Partner Electric (2014) hanno
portato oggi alle nuove Peugeot e-208 ed e-2008, ambedue 100%
elettriche.
Dopo la guerra le ristrettezze economiche e la
necessità di procurare una motorizzazione di massa, in uno scenario nel
quale le infrastrutture di tutta l’Europa erano state devastate dalla
guerra, portarono ad una massiccia corsa al motore a benzina.
L’interesse per la mobilità elettrica però non scomparve del tutto, e
non è questa la sede per elencare tutte le vetture che in epoche diverse
riproposero questo sistema nel corso della prima metà del ‘secolo
breve’, anche se i veicoli elettrici furono accantonati a causa della
concorrenza dei motori a combustione interna, molto meno dipendenti
dalle infrastrutture di ricarica e dai relativi tempi di rifornimento:
problematiche, come meglio si vedrà più avanti, destinate a rimanere una
palla al piede della mobilità elettrica. Confinati a funzioni utilitarie in località
tanto esclusive quanto anguste quali Zermatt o Capri,
questi veicoli hanno continuato comunque per anni a fornire un servizio
più che adeguato, pur nelle loro ovvie limitazioni tecniche.
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Piccolo veicolo elettrico per trasporto merci a Capri
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b. Evoluzioni recenti
Facciamo un
salto in avanti, dunque, molti decenni dopo quella pionieristica
automobile a propulsione ibrida di Ferdinand Porsche e i successivi
tentativi. E’ inutile nascondersi che già negli anni '60 la questione
dell'inquinamento atmosferico, in particolare nelle grandi città, aveva
assunto dimensioni non più ignorabili. Pur permanendo la questione
tuttora irrisolta delle emissioni chimiche industriali e dei
riscaldamenti domestici a carbone e nafta, che in questo testo hanno
solo un valore complementare al ragionamento di base, nel 1963 gli USA
emisero il primo ‘Clean Air Act’ (evoluzione di quella che nel 1955 era
stata la prima tappa di questo processo volto a ripulire l’aria); due
anni dopo il ‘Motor Vehicle Air Pollution Control Act’ stabiliva nuove
regole per depurare le emissioni dei gas di scarico della nuove
automobili, a partire da quelle prodotte nel 1968. Questo movimento si
allargò ben presto per ridurre l’inquinamento atmosferico da gas di
scarico, un problema che iniziava a diventare davvero molto serio nelle
grandi città. Erano primi passi di quelle che dovevano essere le
legislazioni sempre più stringenti votate al contenimento e per quanto
possibile all’abbattimento verso il valore minimo possibile delle
emissioni chimiche degli scarichi automobilistici. Parlando di
‘automobili’ qui ci riferiamo all'insieme di tutto il sistema di
trasporto propulso da motori a combustione interna, e in questo dobbiamo
includere dunque locomotive diesel, autocarri, autobus, pullman e così
via; quello delle emissioni chimiche delle grandi navi civili o
mercantili e degli aeroplani rappresenta un capitolo a sé, grave e
troppo spesso volontariamente (e colpevolmente) ignorato dai mezzi di
comunicazione generalista, ma che esula dallo scopo di questo testo.
In Europa la prima grande battaglia fu, nella Germania degli anni '70
e’80, contro le ‘Saurer Regen’, le piogge acide che danneggiavano la
salute degli uomini, gli edifici e le foreste tedesche. Un fattore
quest’ultimo non marginale in una nazione che all'epoca aveva già
acquisito una potenza industriale di primissimo livello ma nel quale la
mitologia delle foreste conservava una sua potenza ideologica,
strettamente legata all’identità nazionale. La difesa delle foreste, la
lotta contro le piogge acide con le quali l'acqua della pioggia
portavano al suolo e quindi sugli alberi tutte le emissioni tossiche
degli scarichi delle automobili, in particolare SO2 e NOx, si sviluppò
parallelamente alla violenta lotta politica contro l'energia nucleare,
portando a numerose soluzioni alternative. Prima fra queste,
direttamente correlata ad analoghe iniziative statunitensi, diventò
quella della guerra al piombo tetraetile con la contestuale
installazione su tutte le automobili dei convertitori catalitici ed
altri dispositivi atti allo scopo.
E’ abbastanza inutile in questa
sede ripercorrere tutta la storia, complessa e talvolta contraddittoria,
delle normative tecniche volte ad abbattere emissioni chimiche nocive
degli scarichi dei motori a combustione interna. Per quanto riguarda la
situazione a noi più vicina, tutti conosciamo l'evoluzione dei vari
motori etichettati come Euro 1, 2, 3, 4, 5 ora Euro 6. Si può
tranquillamente dire che le emissioni attuali delle automobili recenti
sono a dei livelli veramente bassissimi, tanto da costituire una
minaccia veramente molto relativa per la salute. Il ricambio del parco
circolante sembra dunque almeno in parte legato alla necessità delle
Case automobilistiche di costringere i clienti a acquistare nuove auto
in nome dell’ecologia quando un’auto Euro 6 di 7-8 anni va ancora
perfettamente bene e inquina pochissimo. Giova qui ricordare che quando
poi si parla delle tanto frequentemente menzionate (spesso a sproposito)
‘polveri sottili’, queste sono immesse nell’atmosfera non solo per la
combustione all’interno di un motore diesel ma anche per la
frammentazione dei pneumatici e della superficie stradale e sono quindi
comuni a qualsiasi veicolo marciante indipendentemente dal sistema di
propulsione adottato. Anche elettrico.
Comunque così come all'inizio
del secolo decisioni eminentemente politiche e logistiche fecero
orientare la produzione automobilistica e i gusti del consumatore verso
il propulsore a benzina, e in epoca più recente verso quello a gasolio
(ricordate quando il motore Diesel sembrava la panacea del trasporto?),
ora un analogo sistema di pressioni politiche e normative ci induce a
guardare all'automobile elettrica come il nuovo orizzonte, soprattutto
per chi, come il sottoscritto, vive nella parte più centrale di una
grande città come Bologna. In tutti i centri storici europei e in
particolare in quelli italiani, caratterizzati da strada relativamente
strette con edifici piuttosto alti (‘Brick Canyons’ negli USA),
condizioni di ventilazione generalmente abbastanza calma e quindi poca
dispersione degli inquinanti, ridurre la circolazione dei motori a
combustione interna è diventato da anni una delle attività preferite di
tutte le amministrazioni comunali.
Questo naturalmente non può che
essere benvenuto nell’ottica della tutela della salute dei cittadini,
anche se sarebbe corretto che la soppressione dei motori Diesel delle
automobili private venisse contestualmente accompagnato dalla
progressiva riduzione o scomparsa degli stessi motori dagli autobus e
altri mezzi di trasporto pubblico. Il fatto che l’amministrazione
pubblica obblighi il cittadino ad abbandonare il Diesel e non faccia
altrettanto nei suoi mezzi è l’ennesimo esempio dell’asimmetria di
comportamento del pubblico nei confronti del privato. Ma molta
confusione regna anche fra le fila dei paladini dell’auto ecologica,
come dimostra un sito che dovrebbe essere in prima linea nella difesa
dalle piogge acide:
https://acidraingermany.weebly.com/environmental-factors.html
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c. Scegliere l’elettrica, oggi
Inutile comunque fare
polemica, se elettrico dev’essere, aderiamo. Ritengo anzi sia giusto,
quindi già quattro anni fa, ben prima delle limitazioni oggi in atto,
decisi di adottare la mobilità completamente elettrica per l'automobile
da città. Non sono per niente convinto che le emissioni delle automobili
siano la causa preponderante dell'inquinamento delle grandi città, che
non calerà funchè non verranno aboliti anche riscaldamenti domestici a
gasolio, gli scarichi industriali vari e vecchi autobus a nafta, ma ho
voluto fare la mia parte, abbracciando la causa della mobilità elettrica
per contribuire a ripulire l’aria della mia città. Lasciando in un mio
ampio garage, fuori città, le mie automobili storiche e sportive
tradizionali, che rappresentano la mia vera passione (e che però uso in
effetti per poche occasioni all’anno).
http://www.stefanopasini.it/Cars-Index.htm
La prima decisione, che ritengo
sia stata giusta sin dall'inizio e a cui quindi continuo ad aderire
strettamente, è stata la scelta di un'auto completamente elettrica;
un’auto a batteria, insomma, non una ibrida. Il perché e presto detto;
avendo provato sin dall'inizio su strada e anche per periodi abbastanza
prolungati le varie automobili ibride con le quali si è iniziato a
offrire ai clienti una mobilità elettrica, ho ben presto capito che
nessuna di queste mi convinceva; il passaggio continuo dal motore
elettrico e quello a combustione interna è sinceramente sgradevole e il
fatto di avere un doppio sistema di propulsione mi ha sempre fatto
tornare in mente la famosa frase di Henry Ford, quando diceva che ‘tutto
quello che non c'è non si rompe’. Raddoppiare il sistema di propulsione
mi sembra una maniera di cercarsi dei guai. E questo lo dico nonostante
le prime ibride che ho provato fossero di Case come Porsche o Toyota,
sulla cui caratura tecnica non vi è assolutamente nessun dubbio.
Inoltre, l’ibrida a me sembra (scusate la brutalità) un po’ una furbizia
da due soldi, cioè compro un'auto in parte elettrica perché così mi
viene assicurata tutta una serie di facilitazioni, ma in città giro
comunque col motore a scoppio. Circolando per le zone interne della
città con le mie macchinine full-electric, ho spesso trovato davanti a
me delle piccole Toyota o altre macchine del genere che al semaforo se
ne stavano allegramente in attesa col tubo di scarico che vibrava
emettendo la condensa del motore a scoppio serenamente acceso e
funzionante… questo proprio nella zona a traffico limitato nella quale
dovrebbero essere ammessi solo i veicoli elettrici. E non mi soffermo
qui sulla furbizia tecnica degli ibridi cosiddetti ‘leggeri’ e altre
cose del genere, diciamo semplicemente che per me, se dobbiamo essere
seri, l’elettrico è un full-electric e non un ibrido di facciata.
Ho
iniziato con una Citroen C-Zero, vettura agilissima (in fondo deriva
dalla ‘Kei-Car’ Mitsubishi I-MiEV…) e piacevole all’uso ma davvero un
po’ troppo spartana all’interno e con un’autonomia per me troppo
ridotta. Una perfetta city-car con un orizzonte un po’ limitato e ‘range
anxiety’ incorporata. Nel full-electric, certamente il pioniere con il
prodotto più suggestivo è Tesla, soprattutto finora la Model S. Questa è
un’auto che io ho sempre guardato con molto interesse: ritengo che sia
il miglior frutto di un’avventura straordinariamente coraggiosa, di un
personaggio che con tutte le sue stranezze e pazzie rappresenta uno
comunque dei grandi innovatori del nostro tempo. Però sinceramente
questi livelli di prezzo non mi sembravano giustificabili di fronte a
una tecnologia ancora piuttosto acerba. Lo stesso vale per la Taycan; il
mio amore per la Porsche, di cui sono sempre stato cliente affezionato,
non si spinge al punto di giustificare un investimento così importante.
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d. Dolenti note
Ecco che arrivano le
dolenti note: la povertà e insufficienza totale, sia quantitativa che
qualitativa, delle infrastrutture di ricarica.
Sento già qualcuno
che dice che questo non è nulla di nuovo, che si potrebbe evitare di
ritornare sempre su queste cose, che tanto nel tempo verranno risolte,
che sicuramente tutti stanno lavorando in questo senso, che è solo
questione di avere un po' di pazienza e così via… invece io ritengo che
sia bene sottolinearlo e insistere su questa problematica, perché questo
è uno dei grandi e ragionevoli freni alla diffusione della mobilità
elettrica. Ripeto: ragionevoli.
Le difficoltà infrastrutturali le
conosco bene perchè sono da sempre quello che si dice, in termini di
software, un ‘early adopter’ di tutte le tecnologie che mi interessano,
dai computer all’audio alle auto. Ho iniziato a usare un'auto elettrica,
quattro anni fa, perché sono convinto di questa necessità: però ho
potuto farlo solo perchè ho un garage di mia proprietà sotto la mia
abitazione quindi ho potuto attaccarmi alla mia rete elettrica per
ricaricare la piccola Citroën C-Zero senza che ci fossero troppi
problemi.
Non è il caso qui di andare nei dettagli delle difficoltà
tecniche di contattare l’Enel X per avere la carta necessaria per
accedere alle colonnine ricarica, e di accreditare la app per la stessa
funzione, diciamo che è stata lunga e dura, moltissime telefonate,
messaggi, di tutto, ma alla fine ci siamo riusciti. (Voi queste
difficoltà non le avete avute? Fortunati. Molti miei amici hanno avuto
le stesse difficoltà che ho avuto io.) Quindi card accreditata e
possibilità di facile ricarica nelle colonnine pubbliche. E’ così? No,
quasi mai. Posso parlare solo per Bologna, ovviamente, e anche per
Firenze che è la città di mia moglie, non saprei a Milano o a Roma, ma
qui da noi le colonnine di ricarica sono pochissime, in particolare
vicino a dove abito io nel giro di 300 metri ce n'è una sola, per la
cronaca in Piazza Roosevelt, le altre sono tutte più lontane.
Quell'unica colonnina è a volte fuori servizio, altre volte occupata per
ore intere dopo che la ricarica è finita da qualcuno che ha scoperto un
facile semplice parcheggio con totale disprezzo degli altri utenti. (Una
annotazione: in questo senso, l’utente di auto elettrica non sembra
particolarmente meglio educato dell’utente di altri veicoli). Per fare
un esempio, in questi giorni ho notato una piccola macchinina bianca di
marca indefinita, sicuramente una costruzione semiartigianale di cui
sinceramente manco conosco la marca, che ha occupato questa unica
colonnina per molti giorni di fila, non si è mai mossa, tenendo occupato
il parcheggio e la relativa colonnina semplicemente perché al guidatore
faceva evidentemente fatica spostarla in un altro spazio di parcheggio,
cosa che avrebbe lasciato la colonnina libera per un qualche altro
utente (questo era prima che ci fossero le restrizioni relative al
coronavirus, ovviamente).
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Mappa colonnine Enel X di ricarica a Bologna (22 Maggio 2020). Vi
sembrano abbastanza? |
Un caso isolato? No, perché altre
colonnine in giro per la mia città sono esattamente nella stessa
condizione, con gli utenti di automobili elettriche che sfruttano i
posti di ricarica come comodo parcheggio notturno senza avere reale
bisogno di ricaricare l'automobile e quindi privando della possibilità
di ricarica chi invece ne avrebbe bisogno. Naturalmente non c'è nessuno
che controlli queste cose; l’Enel aveva adottato una iniziativa
teoricamente lodevole, quella di fare pagare i tempi di ricarica a chi,
dopo avere terminato di rifornire la propria auto, rimanesse inutilmente
attaccato alla colonnina, ma l’ha poi inspiegabilmente sospeso durante
il periodo dell’epidemia, e francamente non si capisce il perché. Cosa
c'entra l'epidemia con la necessità di tenere le colonnine libere?
Poi c'è ovviamente il problema delle automobili con motore ‘normale’
(ICE, ‘Internal Combustion Engine’) che occupano abusivamente le
colonnine di ricarica, ma, almeno a Bologna, queste sono fortunatamente
molto poche. Più frequentemente sono le automobili elettriche dei servizi di
noleggio Car Sharing (‘Enjoy’, ‘Corrente’ etc) che gli utenti, in
assenza di altri parcheggi, ritengono giusto abbandonare nella piazzola
di ricarica senza neanche attaccare il cavo, lì sono e rimangono:
nessuna sanzione è prevista per questo abuso. Voi
che avreste bisogno di attaccarvi alla colonnina, ovviamente, rimanete a piedi. In
tutti i sensi.
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Maleducazione in car sharing. Nonostante l'auto non sia
stata messa in carica, occupa l'unica piazzuola di ricarica di un
parcheggio semivuoto... |
Se qualcuno cerca di liquidare con superficiale
sufficienza queste obiezioni come cose già sentite e ovvie, e che quindi
ripeterle è reazionario e noioso, è meglio che cambi prospettiva facendo
un robusto bagno di realismo. Parlare per teoria è nobile e non sporca
le mani, ma chi veramente utilizza la modalità elettrica in città ha
bisogno di avere i servizi di ricarica pronti e disponibili, non
perennemente occupati, abusivamente o con diritto; e dunque di colonnine
ce ne vogliono molte di più, rapide e disponibili. Altrimenti il
paragone con la rapidità di riempimento di un serbatoio di benzina o
gasolio rimarrà sempre perdente. Avete mai provato l'esperienza di
attendere che si liberi una colonnina di cui avete bisogno per rifornire
la vostra ecologicissima full-electric occupata abusivamente dal
furgoncino di un elettricista o dal SUV di una signora che fa la spesa? La necessità di rifornirsi, che
dovrebbe essere un diritto garantito nel momento in cui si obbliga il
cittadino a passare all’elettrico, è evidentemente un concetto di cui le
autorità politiche si disinteressano completamente.
Noterete che fino
a questo punto non ho fatto nessuna obiezione sul costo dell'energia
elettrica di ricarica a casa piuttosto che alle colonnine, questo per
ora lo accantono, stiamo parlando di mobilità elettrica per ridurre
l'inquinamento e non per risparmiare denaro. Questo conto diventerebbe
improponibile se consideriamo il costo dell’auto elettrica rispetto a
quella a benzina: chi sottovaluta questo aspetto vada a confrontare i
listini della 208 ICE e della versione elettrica. Non parliamo nemmeno
della reale questione di fondo della mobilità elettrica a fini
antiinquinamento, cioè dove viene prodotta l'energia (sorgenti in enorme
prevalenza termoelettriche...) e come viene trasportata all'utente. Passiamo anche
sopra a questo; sono questioni più grandi dei confini di questo modesto
cahier de doléances.
Però, anche volendo rimanere nel nostro
orticello, bisogna affrontare il problema massimo delle full electric,
che è la ricarica ed il corollario di range anxiety che ne consegue
quando questa non è agevole. Ho premesso che per fortuna ho la possibilità di
ricaricare nel mio garage personale, e questo mi avvantaggia. Però
quando viene il momento in cui per
avere un po' più di autonomia, di prestazioni, insomma di una migliore
completezza complessiva dell'automobile decido che la piccola Citroën,
per quanto agile, graziosa, molto piacevole all'uso cittadino, non è più
sufficiente, nascono dei problemi. Per motivi familiari ho bisogno di un'autonomia superiore,
altrimenti quando esco al mattino con la piccola elettrica debbo poi
cambiarla in un garage satellite con un'altra automobile con motore a
combustione interna per andare a fare giri a più lungo raggio. Non parlo
di andare da Bologna a Milano, dico solo da Bologna a Faenza ad
assistere un parente anziano, che sono 44 km. Con la piccola Citroën
semplicemente non ci arrivo, cioè ci arriverei ma poi non avrei carica
sufficiente a tornare indietro, e per la ricarica a Faenza…vedi sopra.
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e. Una piccola Peugeot
Decido dunque di
acquistare un'automobile elettrica un pochino più matura e moderna;
niente di esagerato, certo, ma avrei gradito ad esempio la BMW i3, ia
perchè stimo questa grande Casa bavarese sia per la sua affinità
ereditaria con il progetto della mia adorata Audi A2, ma la i3 è già da
un po' in tempo in commercio, aspettiamo una nuova versione aggiornata.
Mercedes non fa elettriche di qesta categoria; mi sono sempre rifiutato
di salire su una Smart; niente coreane, grazie. E l'industria nazionale
come al solito brilla per la sua cospicua assenza da questo
settore.
Dunque un'alternativa francese, per una volta: la nuova Peugeot 208 elettrica
mi è subito sembrata
un'automobile ben fatta, un buon progetto complessivo, costruita in
maniera qualitativamente più che convincente e con le caratteristiche
sia come prestazioni che come autonomia adatte a quello che sto
cercando. Pertanto procedo all'acquisto con la formula del noleggio, in
maniera da non rimanere eccessivamente penalizzato dall' avanzamento
tecnologico futuro, che posso prevedere sarà piuttosto rapido e quindi
mi metterà nella necessità di cambiare la vettura nel giro di un paio
d'anni, aspetto qualche mese per la consegna e finalmente arriva la
e-208.
Prima di decidere a questo acquisto avevo naturalmente
provato su strada la 208 elettrica, trovandola ben costruita e rifinita,
con un interno molto confortevole e una strumentazione molto buona per
quanto riguarda la parte navigazione, molto meno per quanto riguarda il
pannello principale dietro al volante. L'idea, ampiamente pubblicizzata
a livello di marketing, di mettere la strumentazione al di sopra della
corona del volante è realizzata in maniera approssimativa, perché la
strumentazione stessa non è collocata abbastanza in alto e se si vuole
che il volante non la copra si è costretti a tenere il volante stesso
semplicemente troppo basso. Viene da pensare, non senza qualche
nostalgia, alla Porsche 928 che già nel 1978 aveva volante e
strumentazione collegati in maniera tale che comunque si alzasse o si
abbassasse il volante, il pannello degli strumenti lo seguiva e quindi
non veniva mai coperto dallo stesso… già, ma questa era una Porsche.
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Peccato che l’infotainment della 208 sia piuttosto insoddisfacente,
molto vistoso ma ergonomicamente poco efficace: a prima vista
accattivante ma fin troppo complesso, con comandi vocali molto poco
ricettivi e soprattutto la sezione telefono (quella che dovrebbe essere
più facile e intuitiva per ovvie ragioni di sicurezza) decisamente
dispersiva. Poi con un prezzo di listino per la 208 motore elettrico 136
CV 5p. GT Line di ben 36.600 Euro…nemmeno una luce nel cassettino
portaguanti? Andiamo…
Sempre parlando del sistema di
infotainment interno, la e-208 si presenta inizialmente molto bene ma
nel medio termine riesce a essere irritante per alcune cose non
marginali, ad esempio il continuo e persistente non funzionamento della
app ‘MyPeugeot’ con la quale, secondo il costruttore, si dovrebbe poter
controllare dallo smartphone la carica della batteria della vettura e
predisporne il riscaldamento o il condizionamento prima di entrarvi, ma
che all'atto pratico non funziona e che fra l'altro spedisce in
continuazione all'utente avvisi quasi minacciosi dicendo che ‘il
servizio è stato disconnesso’. Da chi? Perché è stato disconnesso?
Perché mi mandate questi avvisi se non me lo avete mai nemmeno attivato
e io non ho mai potuto utilizzarlo? Insomma, un'app sostanzialmente
inutilizzabile, come dimostrano anche i numerosi post sui vari forum
elettrici relativi allo stesso problema di molti utenti.
Più grave, dal punto di vista del puro e
semplice disegno tecnico, è il fastidio dei forti riflessi che vengono
dalla cornice di metallo cromato inserita, per esclusivi ed ovvi quanto
discutbili scopi estetici, alla base del grande schermo centrale della
plancia.
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Questa lamina metallica, quando il sole batte
dall'alto, sembra fatto apposta per abbagliare il pilota mandandogli in
faccia dei riflessi fortissimi. Anche in questo caso ci si domanda come
mai sia stata fatta una cosa del genere e come mai nessuno, nei collaudi
pre produzione, abbia ritenuto di eliminare questo difetto. Io mi sono
trovato costretto a mettere una striscia di materiale adesivo nero opaco
a coprire questo profilo metallico per ridurre il fastidioso
abbagliamento. Certo, ci sono anche delle cose fatte bene; nell'epoca
della connessione continua, anche se la app dedicata MyPeugeot non va,
almeno abbiamo due prese USB e la comoda possibilità di ricarica a
induzione dei telefoni, anche se è un optional da chiedere a parte, è
interessante sapere che c'è.
Per il resto, tutto secondo le mie necessità:
autonomia reale circa 240-260 km, che soddisfa le mie esigenze di range
con un consumo medio nell'utilizzo misto città/autostrada di circa 18
kWh/100Km,
ottima dotazione di bordo soprattutto nella versione GT Line da me
scelta, anche piuttosto piacevole l'estetica complessiva; non mi sono
sorpreso quando i colleghi giornalisti internazionale dell'automobile
hanno assegnato alla Peugeot 208, nel complessivo delle sue versioni, il
titolo di ‘Auto dell'Anno’ (COTY) 2020.
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Naturalmente non è plausibile l'idea di caricare le batterie della e-208 (45
kWh) con lo
stesso sistema adottato prima per quelle della piccola Citroën C-Zero,
cioè con il solo caricabatterie a bassa potenza di serie. Diventa
necessario adottare un Wall Box (o ‘Wallbox’, o ‘Wall-Box’? ognuno lo
scrive come vuole), cioè un apparato di ricarica dedicato a questo
servizio e con potenze diverse a seconda della velocità disponibile e da
ciò che si desidera. Ben sapendo che non avrei mai potuto installare in
garage una vera e propria colonnina di ricarica ad alta potenza, ho
comunque fatto due conti e dopo aver fatto le doverose indagini con i
tecnici del settore, ho pensato che un Wall Box da circa 7,4 kW fosse la
soluzione ideale per ricaricare la e-208, anche nel caso arrivassi a
casa con la batteria piuttosto bassa, più o meno in una nottata durante
la fascia F3.
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Tre diverse prese per ricarica di auto elettriche
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f. Standardizzare,
no?
Nello
scegliere che Wall Box acquistare mi sono poi dovuto confrontare col
problema della presa di ricarica, Tipo 2-Mennekes per la Peugeot ma non
adattabile a altre auto, e così ancora una volta si parla di un settore
dove tutti sembrano andare un po’ per la loro strada, senza una
strategia comune. Perché non standardizziamo le prese una volta per
tutti, ‘Presa Tipo 2-Mennekes’ o ‘CCS Combo 2’ obbligatoria e non se ne
parla più?
Ma visto che si parla di mobilità elettrica è utile a
questo punto ricordare che la distribuzione dell'elettricità, la forza
che realmente ha cambiato il mondo negli ultimi tre secoli, non è
esattamente un esempio di standardizzazione e vede anzi una
straordinaria varietà globale di voltaggio, frequenza, connessioni. Se
negli Stati Uniti, ad esempio, l'elettricità domestica viene distribuita
a 110 Volt con una frequenza di 60 Hz, in Europa viaggiamo abitualmente
con 220 V e 50 Hz, con le complicazioni che questo crea, per esempio,
nel caso dei motori sincroni per utilizzo domestico. Chiunque abbia
acquistato un giradischi negli Stati Uniti o in Giappone e abbia provato
a utilizzarlo sulla rete elettrica nazionale sa di cosa parlo, a meno
che non compri a Tokio un Denon DN-308 con voltaggio 110 e frequenza a
50Hz…
In fatto di standardizzazione dell’elettricità di uso
domestico, poi, vogliamo parlare dei connettori? Certo quella
dell'elettricità è un campo molto particolare, in questo senso. Sin da
quando Edison si trovò e inventarsi completamente ex novo il sistema
elettrico, dalla lampadina al portalampada, dei fili alle prese, dalle
spine a tutte le altre componenti di questo complesso, sembra che in
giro per il mondo una delle principali attività dell'industria sia stata
quelle di creare standard a sè stanti, in competizione diretta una con
l'altro. Guardiamo alle spine per prese a muro: lo standard IEC 60320 ci
dice che gli americani hanno il loro tipo ‘A’ a due poli rettangolari o
la ‘B’ con due poli più contatto di terra, ma se si passa in Europa
abbiamo la CEE 7/16 a due poli classica ‘piccola’, la 7/17, la 7/14 che
è la classica ‘Schuko’ tedesca, massiccia, con due contatti laterali di
terra e non inseribile nell’alloggiamento della 7/16, poi ci sono i tipi
ibridi, quella inglese che ha tre contatti a sezione rettangolare
disposti a triangolo, fra l'altro dotate di solito di fusibile; altri
Paesi si sono fatti le ‘loro’ prese, creando una marea di altre
variabili con le quali è abituato a fare i conti chiunque abbia
viaggiato molto in giro per il mondo.
La cosa non migliora se si
parla dei connettori (‘appliance couplers’) dall'altra parte della
spina, cioè quelli che si inseriscono in un apparecchio elettrico o
elettronico per fornirgli energia. A meno che non vi sia un cavo fisso,
infatti, l'apparecchio avrà una presa femmina in cui viene inserito il
cavo, il cosiddetto ‘accoppiatore’, e anche qui esistono cospicue e
multiple differenze. L’accoppiamento per collegare un rasoio elettrico,
denominato C1/C2 (la prima sigla è la spina, la seconda la presa
femmina), è molto simile al C7/C8, ma in realtà non è intercambiabile
con quest’ultimo, ampiamente utilizzato per gli alimentatori di potenza
non molto elevata, per computer e altri apparecchi elettronici. Se
dovete collegare un apparecchio elettronico della scuola tedesca, un
alimentatore da computer, un PC, un giradischi professionale o altri
apparecchi di questo calibro, quasi sicuramente troverete la coppia
C13/C14, molto simile ma non intercambiabile con la C15/C16 che ha gli
stessi contatti ma ha un dente di localizzazione per segnalare che
questa è la spina dedicata agli apparecchi che possono raggiungere
temperature elevate, come i bollitori da tè; il connettore che va in
questa sede deve avere caratteristiche particolari non richiesti alla
C13/C14. Potete avere anche una C19, che ha sempre tra i contatti
arrangiati a triangolo ma sono a sezione rettangolare anzichè tonda, e
la Revox, tanto per rendere le cose più difficili, anziché il classico
C13/C14 tedesco usa nei suoi apparecchi classici il C9/C10 a due soli
poli… insomma, si può parlare di una scelta pressoché infinita che fa sì
che quando avrete bisogno di un determinato cavo in fretta e furia quasi
sicuramente ne troverete molti con una spina non adattabile al vostro
apparecchio, con tutte le complicazioni che ne discendono.
E’ ovvia
la constatazione che solo alcuni di questi ‘couplers’ si differenziano
da altri per specifiche ragioni professionali, come la C15/C16 rispetto
alla C13/C14, mentre altre sono semplicemente una specie di
differenziazione commerciale; dall’altrettanto ovvia considerazione che
armonizzare tutti i componenti di un sistema giova praticamente a tutti,
in primo luogo ovviamente all'utente, dovrebbe derivare che l'industria
dell'automobile elettrica dovrebbe cercato in qualche maniera di
standardizzare i suoi connettori di ricarica, ma naturalmente non è
così. Ce ne sono almeno sei e quando arrivate alla tanto agognata
colonnina la presa libera è sempre quello che non vi serve. Perché non
adottare un unico standard? Eppure nel passato si è ben visto che certi
tipi di guerra commerciale fra standard non hanno giovato assolutamente
all'industria. Nel campo elettronico molti ricordano la guerra nei
videoregistratori fra il sistema europeo Video 2000, il VHS e il Betamax
della Sony, quest'ultimo probabilmente il migliore dei tre ma dal punto
di vista commerciale sovrastato dalla moltitudine di fabbricanti che
adottarono il VHS. Risultato, uno standard ottimo praticamente
accantonato a favore di uno meno valido ma massificato e tanti soldi
spesi in una guerra commerciale inutile. La stessa cosa si è poi
ripetuta con le cassette digitali DCC contro il DAT e altre cose del
genere. Non che i responsabili di un settore tradizionalmente serio come
quello ferroviario abbiano fatto di meglio; basta considerare quanti
diversi scartamenti esistano oltre al classico 1435 mm e quanti tipi di
alimentazione elettrica vediamo convivere ancora adesso in giro per la
sola Europa per rendersene conto. Almeno in questo caso è intervenuta
una necessaria standardizzazione per le linee ad alta velocità e
l’alimentazione a 25000 Volt è ormai un ‘Gold Standard’, cosa meno
evidente nelle linee normali. Sospettiamo che in parte anche questa sia
un’eredità dei periodi bellici, quando avere linee ferroviarie
incompatibili con quelle dei confinanti era considerato un utile
baluardo all’avanzata dei convogli di rifornimento del nemico in caso di
guerra.
Anche in questa epoca di globalizzazione, per l'auto
elettrica convivono almeno sei tipi di prese delle quali tre possono
essere considerate quelle più importanti, ma rimane il fatto che non c'è
un indicazioni univoche e se io prendo una Wall Box con cavo fisso e
presa tipo 2-Mennekes rischio poi, se cambio automobile, di dovere
cambiare tutta la Wall Box stessa. Considerato che il costo di questo
solo componente viaggia dai 500 ai 1000 €, non sarebbe male che ci fosse
una standardizzazione anche in questo senso, che avrebbe un effetto
tranquillizzante sull'utente.
Bene, acquistata auto e Wall Box mi
sono dovuto rimettere in contatto con il distributore elettrico, anche
in questo caso affrontando una marea di discussioni dovute (colpa mia,
in questo caso) all’esistenza nella mia vita di vari contratti di casa,
dei garage e dell' ambulatorio, la differenza fra Enel e Servizio
Elettrico Nazionale e varie altre cose, ma finalmente, avendo trovato
delle persone gentili e disposte a collaborare anziché a mettere bastoni
fra le ruote (come troppo spesso accade in questi casi) sono riuscito a
ordinare un upgrade della potenza di ricarica per il mio contratto dagli
attuali 4,5 kW a 9 kW. Abbiamo pensato all’upgrade a 9 kW perché per
caricare la vettura nel corso della nottata con un Wall Box di potenza
‘standard’ sarebbe necessario avere una potenza disponibile di 7,4 kW ma
si deve mantenere un certo margine di sicurezza per l'utilizzo di un
elettrodomestico e di qualche luce in casa. Premetto che gli stessi
tecnici del Servizio Elettrico Nazionale mi hanno consigliato caldamente
(e, credo, giustamente) di mantenere un unico contatore per la casa e
per l'automobile, anche quando io avevo chiesto se non sarebbe stato il
caso di sdoppiare l'utenza.
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g. I problemi degli 'altri' sembrano sempre roba da poco
E qui casca l'asino. Perché quando è venuto il
tecnico deputato a realizzare materialmente questo upgrade ha stabilito
anche nella mia zona, pieno centro storico, cioè dove la mobilità
elettrica è più utile e il Comune vorrebbe farla diventare obbligatoria
ed esclusiva già nel 2025, non è possibile fare un upgrade del mio
contratto a 9 kW. I cavi della rete elettrica principale, cioè a monte
del mio contatore, non possono portare questo tipo di potenza; se avessi
proprio voluto arrivare a 9kW si sarebbe dovuto cambiare tutta una serie
di cavi con una spesa a mio carico molto elevata (già così, ho dovuto
sborsare alcune centinaia di euro per fare l’upgrade del mio contratto).
Inoltre nelle viscere di un palazzo del ‘400 come quello dove abito non
si possono nemmeno far passare troppi cavi aggiuntivi per montare
analizzatori di corrente e così via; i cavi maggiorati per i 9 kW sono
passati bene, io ho fatto predisporre l’impianto a norma ma a monte del
mio impianto ho un collo di bottiglia irrimediabile, non per colpa mia
ma delle infrastrutture, diciamo così, pubbliche. Il massimo che si è
potuto fare è stato passare il contratto a 7 kW ma la maggior parte dei
Wall Box in commercio è a potenza fissa, attorno a 7,4 kW; per fortuna è
previsto un 10% di ‘sforamento’ possibile nell’erogazione e quindi,
ricaricando di notte quando la casa non ha nessun servizio elettrico
acceso, si può fare. Ma il limite è evidente, non posso mettere un
caricabatteria più veloce e l’utilizzabilità della mia ‘elettrica’
finisce per essere fortemente e ingiustamente penalizzata. Senza contare
che così non si può fare andare lavatrice o lavastoviglie durante le ore
di tariffa più conveniente assieme alla ricarica dell’auto. Insomma, se
io decidessi di acquistare una Porsche Taycan, con il suo sofisticato
sistema di a 800 Volt e la fame di energia ovviamente legata alle sue
esplosive prestazioni assolute, poi dovrei assoggettarmi a tempi di
ricarica lunghissimi; e questo non per colpa dell'auto o dell'utente, ma
della insufficienza delle infrastrutture che le autorità cosiddette
'competenti' non adeguano alle esigenze di quella mobilità elettrica che
vorrebbero imporre al mondo.
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La nuova Porsche Taycan Turbo S. Un vero goiello di tecnologia,
senz'altro la migliore full electric in commercio, ma dove troveremo le
infrastrutture di ricarica? |
Cosa
succederà a queste vetuste, insufficienti infrastrutture elettriche se e
quando la popolazione decidesse di abbracciare, più o meno obtorto
collo, i diktat del comune e si dedicasse quindi univocamente alla
mobilità elettrica? Qualsiasi condominio nel quale una dozzina di
famiglie dovesse richiedere un contratto di almeno 9kW per la ricarica
della propria auto elettrica finirebbe per passare agevolmente la soglia
dei 100kW oltre i quali l’Enel richiede la costruzione di una cabina di
distribuzione, con i costi che ne conseguono. Questo aiuta a capire che
le elettrificazioni di massa della mobilità finiscono per essere una di
quelle utopie ambientaliste che si scontrano, almeno per ora, con una
realtà pratica difficilmente comprensibile e sicuramente non gestibile
dalle attuali infrastrutture. Le quali, fra l’altro, difficilmente
potranno affrontare cospicui investimenti nel post-Covid.
Ho cercato
un Wall Box che avesse una possibilità di modulare la corrente di
ricarica, ma i fornitori principali o non li hanno (cioè sono
disponibili apparecchi con potenza d'uscita sempre fissa a 7,4 oppure a
3,7 kW) oppure hanno dei caricabatterie regolabili dal costo molto più
elevato, oltre 1200 €, mentre nessun contributo al riguardo viene dalle
Case automobilistiche, né dalla Regione o da altre strutture pubbliche
come contributo alla carica domestica dell'automobile elettrica. Non si
paga la tassa di proprietà, per ora, ma per un’auto della classe della
e-208 non è una cifra stellare. Ci si chiede con quale serietà il Comune
di Bologna voglia imporre ai cittadini la mobilità elettrica senza fare
il suo dovere nel predisporre le necessarie infrastrutture.
Magari l'auto stessa potrebbe prevedere la possibilità di
modulare l’assorbimento nel corso della ricarica della batteria;
purtroppo la mia (qui parlo della Peugeot e-208 ma credo che anche la
maggior parte delle altre full-electric abbiano più o meno la stessa
caratteristica) non consente di regolare questo assorbimento, una cosa
che sarebbe utile e penso tutto sommato abbastanza facile da
implementare. E’ auspicabile che i costruttori prendano coscienza del
fatto che per molti utenti le infrastrutture di ricarica sono
sostanzialmente ancora piuttosto problematiche e agiscano di
conseguenza, rendendo più flessibile l'interfaccia fra l'automobile e la
rete elettrica di ricarica, permettendo cioè di regolare la potenza
assorbita in ricarica dalla centralina principale dell'automobile. Dal
momento che è già prevista la possibilità di temporizzare la ricarica
quando fa più comodo, ad esempio nelle ore notturne (funzione
effettivamente molto utile), ritengo che modulare anche la potenza
richiesta di ricarica non sarebbe un grosso problema e faciliterebbe
molto l'adattamento delle automobili elettriche all'ambiente
metropolitano.
Anche
l’automobile potrebbe fare la sua parte, per esempio iniziando a dotarsi
di impianto fotovoltaico autonomo. Se ne parla da anni eppure solo
Toyota e E Hyundai sembrano crederci, sia pur tiepidamente. E gli altri?
La mia Peugeot e-208 ha un tetto in cristallo bello quanto inutile;
perchè non sostituirlo con un pannello fotovoltaico? Ho sentito dire (da
dirigenti di industrie dell'automobile, non da tecnici da bar): ma tanto
con questo sistema si produce pochissima energia. E allora? Lao Tzu
disse che 'Un viaggio di mille miglia inizia sempre con il primo passo.'
Facciamolo lo stesso, magari nel tempo diventerà qualcosa di più di un
semplice passo. Quando l'auto
rimane parcheggiata all'aperto potrebbe ottenere una ricarica almeno
parziale a costo zero, aderendo ancora più strettamente al concetto
dell'energia totalmente rinnovabile, impatto zero e così via. Eppure non
si fa: forse questo non va bene perchè intaccherebbe i profitti dei
fornitori di energia?
Insomma, questi sono tutti problemi che rimangono e sono molto
importanti. Anche i costi della vostra piccola infrastruttura domestica
vanno valutati: oltre ai 378 Euro di lavori vari del SEN, ho speso 1.200
Euro di lavori elettrici per il passaggio dei cavi di potenza e relativa
impiantistica, 550 per il Wall Box, un totale di più di 2.000 Euro prima
ancora di sedermi al volante della e-208. Certo, l’energia per la
ricarica permette di risparmiare, ma quanti anni dovrei guidare ‘solo
elettrico’ per recuperare queste spese? E rimane sempre il fatto che
quando arrivo a casa debbo svolgere il cavo, aprire il bocchettone,
inserire la spina, controllare il timer di ricarica e la mattina, prima
di partire, ripetere la procedura all’inverso. Non tutti, specie se di
una certa età, vogliono affrontare queste contorsioni: molti rinunciano
all’elettrica anche per questo. Gli schemi di cambio rapido delle
batterie naufragano miseramente da anni, le ricariche ultrarapide sono
pochissime, il rifornimento veloce d’energia rimane un miraggio. Alla
faccia di chi vuole colpevolmente sottovalutare queste questioni,
alzando le spalle e dicendo che sono dettagli, ma spesso parla solo per
teoria e in realtà continua a guidare un’auto con motore a combustione
interna o tuttalpiù una mild hybrid: questi sono problemi che rendono
effettivamente molto diffidenti tutti coloro che potrebbero passare
all’auto elettrica e per ora aspettano a farlo proprio per queste
difficoltà.
Per quanto mi riguarda, essendo io conosciuto
nell’ambiente come appassionato di automobili di lunga data e di gusti
ecumenici, molti mi chiedono un parere sulla mia auto elettrica, e a
tutti ripeto le stesse cose, un doveroso avvertimento: la full electric
è piacevolissima se abitate in una villa in cui potete fare montare le
linee elettriche che vi pare, e magari anche farvi un’installazione
fotovoltaica privata; ma allora forse non avete bisogno neanche di
un'auto elettrica. Mentre se abitate nel centro storico di una città
antica, dove l'auto elettrica viene ormai imposta per legge, come accade
a Bologna, state molto, molto attenti perché potreste trovarvi a lottare
duramente per affermare qualche vostro diritto e trovarvi poi alla fine
ad affrontare delle amare e costose delusioni.
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h. In Cauda Venenum
Perché alla fin fine, ricordatevelo
bene, questa dell'auto elettrica non è come potrebbe sembrare una giusta
lotta all'inquinamento: non è una pura e semplice critica al motore a
combustione interna. E’ una guerra all'automobile, intesa come mezzo di
mobilità personale e privata che le autorità politiche vogliono
limitare, ostacolare, possibilmente sopprimere. Chi, come il
sottoscritto da residente in un centro urbano si scontra ogni giorno con
le mille difficoltà, i costi, le complicazioni tecniche e burocratiche
create ad arte dalle amministrazioni locale e centrale, ha la netta
sensazione, credo non infondata, che questi cambino continuamente le
regole del gioco, durante il gioco. Se pensate di acquistare un'auto elettrica dovete essere preparati all'idea che come ieri un’amministrazione locale ha
follemente deciso di chiudere il traffico ai diesel Euro 6 (con lo
sberleffo successivo di vedere l'inquinamento da PM salire anzichè
scendere...), così domani
bloccherà le ibride e poi anche le full electric, trasformando la lotta
all'inquinamento nel pretesto per una sempre più feroce ‘Congestion Tax’, come è successo a Londra. L'inquinamento
non è il vero pensiero di questi politici: altrimenti i filobus con
trazione ibrida Skoda 'BlueDrive', a Bologna, non andrebbero quasi
sempre col solo motore Diesel; e si dovrebbe fare una drastica purga dei
motorini a due tempi, questi sì inquinanti e molto, prima di pensare a
escludere dal centro i Diesel Euro 4 e simili.
Acquistare un'auto elettrica è diventata per
molte persone un obbligo legato alle costrizioni, in larghissima parte
del tutto irragionevoli, delle amministrazioni pubbliche. Queste in
tal modo
accontentano gli strepitanti ecologisti militanti, si ripuliscono la
coscienza sventolando il vessillo ecologico, vanno almeno
apparentemente incontro alle esigenze di un'industria che è
disperatamente alla ricerca di un ricambio immediato del
parco circolante (che sarebbe tecnicamente non necessario) ma si voltano poi tranquillamente dall'altra parte di
fronte alla assoluta indispensabilità di fare la loro parte, cioè di
provvedere alla costruzione di infrastrutture qualitativamente e
quantitativamente all'altezza di una possibile futura motorizzazione
elettrica di massa. Ovviamente chi acquista un'auto elettrica per ragioni
esplicitamente ecologiche ignora, per sua ignoranza o malafede, che la
corrente elettrica viene comunque generata in massima parte da enormi
centrali termoelettriche funzionanti a derivati del petrolio, con solo
una minima parte derivata da fotovoltaico e eolico.
E' del tutto inutile dire che poi
verrà chissà quale rivoluzione sulle energie rinnovabili, questa per ora non
c'è; procedere ora con l'imposizione totale della mobilità elettrica vuol dire
semplicemente spostare l'inquinamento da un punto all'altro della catena
produttiva dell’energia. E a proposito di malafede, inutile forse
illustrare a chi non vuol sentire che i particolati PM10 e inferiori,
tanto di moda sulla bocca di tutti quando si parla di inquinamento, sono
prodotti anche delle automobili elettriche con il semplice lavoro di
usura dei pneumatici e dell'asfalto, e che anche le auto elettriche le
rimovimentano continuamente. Questo perché manca una strategia continuativa
di pulizia delle strade (quella che, chissà perché, l'Organizzazione
Mondiale della Sanità ha dichiarato inutili…come secondo loro erano le
mascherine durante la fase emergenziale del Covid 19, ricordate?),
che aiuterebbe a liberare il suolo pubblico da tutti questi
particolati e quindi a ripulire sostanzialmente l'aria.
Lasciamo perdere le mostruose necessità di ricarica di automobili come la Porsche Taycan
‘Turbo S’ con i suoi 700 kg di batteria, parliamo semplicemente di chi,
forzato dalle normative locali a parcheggiare la sua automobilina diesel
o benzina, dovrà acquistare un'automobile elettrica. Chi gli darà i
soldi? Tanto più in questo momento di grave crisi economica come si può
pensare di costringere tutti a spendere 36.000 Euro come ci chiede ad
esempio la Peugeot per la sua e-208 mentre la stessa ottima piccola
automobile in versione benzina costa la metà?
Il
MIT Technology Review stima che
il
costo delle batterie per uso automotive
parta da US$225 per kWh nel 2020, dunque perchè tanto divari fra prezzi
ICE e full electric?
E poi non si può certo dire che
l'inquinamento di una piccola Diesel Euro 6 sia terribilmente diversa da
quella di una elettrica: allora parliamo di una trama molto diversa,
cioè di decisioni politiche che con l’arbitrio di bloccare le automobili
a combustione interna, offrendo la sola alternativa dell'elettrico, mira
in effetti a mettere i cittadini nella concomitante impossibilità di usare l'una e
di acquistare l'altra. Mettendo così
tutti o quasi, di fatto, a piedi.
E’ una guerra alla libertà di movimento individuale, quella che il
grande David E. Davis Jr. magistralmente descrisse come “The Freedom
of Wild Ducks” (da ‘Road Trips, Head Trips, and Other Car-Crazed
Writings’, Jean Lindamood, Atlantic Monthly Press) quando a proposito
delle auto scoperte scrive “….pensate che un viaggio veloce lungo
una strada vuota su un’auto scoperta possa risollevare il vostro cuore e
accendere i vostri sogni? Certo che lo farà, meno che non abbiate né
cuore né sogni. Le automobili ci trasportano non solo nel senso di
portarci da casa al lavoro, ma insegnandoci una parte della nostra vita
che altrimenti avremmo potuto mancare. Esse riportano il divertimento
nella guida e ci ricordano di un tempo quando le automobili
rappresentavano l’apice del progresso umano e quelli che le disegnavano,
costruivano e guidavano erano eroi.”
Le amministrazioni
pubbliche odiano questa libertà, il piacere dell’auto privata. Limitando
il traffico in città anche alle auto full electric, i politici negano in effetti i presupposti antiinquinamento su cui si
fonderebbe questa nobile lotta, modificando arbitrariamente i termini
della questione e soprattutto le regole del gioco, penalizzando chi
investe i propri denari sulla base delle regole oggi dichiarate (e,
tutti dovrebbero capirlo, uccidendo così una delle più importanti
galline dalle uova d’oro dell’economia italiana, l’automobile e il suo
sterminato indotto). Noi, giocatori che ci siamo seduti a questo tavolo
cercando di rispettare le regole sulla base di quanto promesso
all'inizio della partita, non possiamo fare altro che perdere quando chi
tiene il banco cambia le regole durante la parita. Alla
fine, tutti in giro in monopattino. Forse nemmeno più elettrico.
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Stefano Pasini, 18/05/2020
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