Una notte piovosa, a
Londra...
Felix Meister, impaziente, guardò fuori dal gabbiotto
del custode. La vide arrivare, filante, piena di curve. Ma si aspettava
qualcosa di diverso: per quella missione, aveva chiesto un’auto veloce,
un’Aston Martin, magari. E invece gli davano una grande berlina a quattro
porte, una Jaguar. Alzò gli occhi al cielo: Santo Cielo, roba da veri
elegantoni! Dove pensavano che andasse, a un ricevimento della Regina?

La Jaguar blu, accompagnata da un
sottile ringhio metallico, si fermò davanti a lui. L’aveva sempre creduta
antica, ma ora che la vedeva bene capiva che in realtà gli anni, sulle sue
forme, erano passati senza lasciare traccia. L’uomo che gliel’aveva
portata scese, il volto impassibile. “Dannati inglesi”, pensò Felix
Meister, infiammabile come tutti i texani, “nemmeno di fronte ad una
carrozzeria del genere lasciano tradire emozioni.”
Ma il suo amico James, quando gliel’aveva consigliata
per la sua missione a Londra, sapeva quel che faceva. “Ti faccio mettere a
disposizione un’auto del nostro Servizio, Felix” aveva sogghignato il suo
amico, accendendosi una di quelle sue orribili Parliament fuori moda ; il
pesante Rolex d’acciaio aveva sfavillato per un attimo, sotto
all’immacolato polsino della camicia di Thomas Pink. “Qui a Londra, avrai
bisogno di un’auto cui la gente non faccia più caso, niente di vistoso,
Porsche, Ferrari…. devi poterci andare anche nel cuore dell’East End.
Certo, avrai bisogno di cavalli. Non ti preoccupare, ti procurerò qualcosa
di discreto, che dia poco nell’occhio, ma con potenza a sufficienza.
Qualcosa fatto apposta per strapazzare le tue macchinine a pedali fatte a
Detroit, anche la tua dannata Studillac.”
Come James, anche Felix Meister aveva un fisico che
non passava inosservato fra le carnagioni pallide di Heathrow. Scivolò
quindi subito al posto guida della grossa Jaguar: il lucido uncino
d’acciaio che sostituiva la sua mano destra, ricordo di una visita a
Everglades di qualche anno prima, accarezzò la leva del cambio, poi la
artigliò con un leggero tintinnio. Felix tirò indietro la leva : su ‘D’,
la Jaguar si animò appena, poi, alzata la sbarra, all’agente della CIA
bastò accarezzare l’acceleratore per avviarsi fuori dal tetro parcheggio,
nella pioggia di Londra, verso il malfamato bar dove l’attendeva la sua
missione. Dove avrebbe trovato la ragazza, o, come aveva detto poco prima
a James, ‘formaldeide e gigli’.
Mentre si preparava all’incontro per il quale si
trovava lì, Meister iniziò a guardarsi attorno. Non voleva ammetterlo, ma
quella Jaguar era maledettamente comoda. Fuori pioveva fitto e leggero
come in una notte di Chinatown, tutto buio, acqua polverizzata e fanalini
rossi che si accendevano in distanza.
Seguì la strada, indefinito nastro d’asfalto
luccicante di pioggia, rimpiangendo il sole asciutto del suo ranch, vicino
a Houston; il lento battito del tergi gli sembrava ricordare
l’impassibilità inglese di fronte alle peggiori situazioni metereologiche.
Con cura, regolò il sistema di climatizzazione. Automatico, adesso, e del
tutto diverso da quello della vecchia Jaguar che aveva guidato tanti anni
prima; ora, i vetri non si appannavano più.
Nella comodità assoluta di quel silenzioso salotto
felpato, raccolse le idee. Ma al successivo semaforo rosso, i suoi occhi
quasi involontariamente tornarono a percorrere il cruscotto, lungo, piatto
e pieno di legno pregiato quasi nero, uno spettacolo. Anche gli strumenti,
ora, sembravano avere più dignità, anche se per un texano come lui, forse,
mancavano ancora delle lucine.
Si sciolse lentamente i muscoli su quei sedili,
comodi come la poltrona di pelle del Direttore della CIA. La sua
corporatura massiccia non gli permise di stendersi più di tanto, ma la
vecchia cassetta di Robert Johnson che si era portato dietro quasi per
caso gli restituì un poco di atmosfera di casa. Il jet-lag parve ridursi,
mentre la Jaguar lo portava, come su un cuscino d’aria, oltre le prime
buche dietro a Dagenham; una vecchia fabbrica d’auto lanciava verso il
cielo ciminiere e fuliggine. Pensò un attimo alla lontana parentela fra la
Jaguar che stava guidando e quella Casa; scosse le spalle, come
allontanare l'idea. Robert Johnson continuava a parlare di scope, incroci
e diavoli. Nel silenzio completo dell’interno, la sua voce roca risuonava
bassa, cupa. Si districò in
direzione dell’East End, aiutato dal servosterzo della Jaguar. Puntando
quel lungo muso in strade buie, piene di giornali vecchi sollevati dal
vento tagliente, si meravigliò della manovrabilità di quella comoda
berlina. E finalmente trovò il posto che cercava.
Il “Plough and Goat” non aveva nulla del pub
per yuppie; forse era lì che Wilf the Wheelman era venuto a bere il suo
ultimo scotch a poco prezzo, di quello bevuto da bottiglie cadute da un
camion diretto al porto. Felix parcheggiò la Jaguar con cura, il muso
rivolto verso Ovest e senza niente, davanti, a bloccare un’eventuale fuga;
la manovra richiese due dita, pochi secondi. La riguardò un attimo solo.
Bellissima, davvero. La griglia metallica del radiatore lo riportò molti
anni indietro, a quando aveva iniziato a correre sugli aeroporti del Sud
della California. Ora, però, aveva altro a cui pensare.
Gli avventori del “Plough and Goat” non
avevano notato la Jaguar. O forse sì? Uomini bassi dagli occhi sfuggenti,
con maglioni a collo alto e grosse pinte di Guinness tiepida in mano,
fecero finta di non guardarlo, ma, quando fu al bancone, Felix si sentì
più occhi addosso di Cindy Crawford ad una sfilata di biancheria intima.
Il barman lo guardò appena. “Tu cerchi gioielli. Vorresti vedelli?” Slang,
Cockney. James lo aveva avvisato. “Vorrei una birra, ma piena di mirra.”
L’uomo al banco non sorrise; nessuno gli aveva descritto lo straniero,
pure la parola d’ordine era giusta. Gli diede una pinta di ‘scura’, poi
passò nel retro. L’inferno
si aprì davanti all’agente della CIA in un attimo. La bionda che gli
piombò in braccio era un sogno, morbida, calda. Era tutta curve, come le
strade ferrate nei film di una volta, ma dietro aveva una grossa Colt .45
nichelata, e Felix si trovò la canna ad altezza sopracciglio. Il barman lo
guardò, sogghignando: “La cercavi da un anno/Hai trovato danno.” Ancora
rime, Felix non ne poteva più. E due uomini, lo vide nello specchio, si
stavano alzando dietro di lui. Tempo di muoversi, e in fretta.
Il suo uncino balenò fuori dalla tasca: il barista ne
fu ipnotizzato, e non si mosse nemmeno quando Felix glielo piantò
nell’avambraccio. Il gorilla emise un urlo inumano, e Pamela morse a
sangue l’altro avambraccio del bruto, che aveva mollato la sua .45 per
tamponare il buco da uncino. Non ci metterà molto a riprendersi, pensò
Meister, che dette un calcio ad un tavolo addosso ai due uomini, sbraitò
alla pollastra di alzare le gonne e si proiettò con lei fuori dal locale.
Cristo, ci aveva messo una vita a ritrovarla, la figlia del Presidente,
non l’avrebbe persa ora. Le
frecce della Jaguar occhieggiarono un istante quando azionò il telecomando
dalla soglia del locale; Felix Meister e la pupa corsero all’auto e si
gettarono dentro, non c’era tempo da perdere e prima se ne andavno, meglio
era. L’improvviso accendere dei fari di una grossa Audi A8 nera, poi il
primo proiettile che gli sibilò accanto, glielo ricordarono.
Il motore si avviò silenzioso, come facesse le fusa,
ma a Felix ora importava solo schiacciare su quel dannato acceleratore
albionico; chissà, pensò, come faremo a cavarcela con quella vecchia
reliquia imperiale contro l’incrociatore spaziale Unno….
La pupa, ribaltandosi più in fretta che poteva sul
sedile del passeggero, rivelò un reggicalze che avrebbe fatto dimenticare
a Meister anche il Presidente stesso, se non fosse stato per quelle
dannate Colt che abbaiavano nella notte. Con la coda dell’occhio, vide poi
che uno di quei maledetti stava tirando fuori un Kalashnikov. Lo ricordava
bene quel profilo in metallo nero e legno cinese, dai tempi di Khe Sanh…..
Il sordo mugolio meccanico della Jaguar sotto sforzo
lo strappò agli incubi delle vallate del Vietnam. Con agilità impensabile
in una stagionata signora inglese d’alta classe, la Jaguar si fiondò in
avanti come un missile. In poco più di 5 secondi era già oltre i 100
chilometri orari, ma Felix aveva poco tempo per lo stupore. In fondo alla
strada, il muro di mattoni di una distilleria si avvicinava
pericolosamente.
Istintivamente, Meister abbaiò alla bionda “Tienti forte, pupa, ora si
balla!” calò l’uncino metallico sulla leva, la passò con decisione nella
scanalatura sinistra e poi in avanti lungo quel curioso selettore, da ‘D’
a ‘4’, poi a ‘3’; con un tremito appena accennato del posteriore, la lunga
berlina rallentò, poi, quando Felix ebbe di colpo buttato tutto il volante
a sinistra, il resto della carrozzeria seguì come una gattina bene
addestrata. Ce l’avevano fatta: la luce arancione del controllo di
trazione lampeggiava nel quadrante del tachimetro come per dire ehi bello,
questa te l’ho fatta fare io, ed aveva ragione, perché su quel pavè
bagnato, pensò Felix Meister, non sarebbe stata diritta neppure una
passeggiatrice di Las Vegas.
Un altro sibilo gli ricordò che aveva compagni di
viaggio. James gliel’aveva sempre detto, attento alle Mercedes nere, nei
nostri romanzi tutti i cattivi ne hanno almeno una…. questa era un’Audi,
però aveva tutti gli optional, anche le mitragliatrici fuori dai
finestrini, pensò Felix. Maledizione, quei bastardi hanno un 5 litri
tedesco, e James e i suoi amici mi hanno dato un vagone che sembra fatto
per l’ippodromo di Ascot!
Capì che stava andando molto forte, ma, quando arrivò finalmente a
schiacciare l’acceleratore fino in fondo, la Jaguar balzò ancora più
velocemente in avanti. Sullo sfondo, il suo orecchio allenato captò un
ringhio metallico. Quel
raschiare di metalli pregiati gli strappò un mezzo sorriso. James aveva
una vera passione per il compressore volumetrico, e Felix, quando ne
parlavano, alzava gli occhi al cielo. “Santo Cielo, sempre le tue
polverose storie con le vecchie Bentley e i meccanici della RAF....”
Ecco cos’avevano fatto: quegli amorevoli bastardi del
Servizio, di nascosto, avevano imbullonato un grosso compressore Roots
sotto al cofano di una comoda, elegante berlina di rappresentanza. I
banditi che gli stavano dando la caccia pensavano che l’avrebbero preso in
fretta: ma, pensò ora Felix, forse si sbagliavano. Schiacciò il pedale
dell’acceleratore fino a sentire male alla caviglia, “Pedal to the Metal,
Pedal to the Metal…” continuava a ripetersi.
I cavalli del grosso V8 non avevano bisogno di molti
incoraggiamenti. La Jaguar stava correndo velocissima, sicura, il
posteriore appena danzante sullo sconnesso di periferia. Nonostante il
silenzio completo del suo interno, continuavano a guadagnare terreno,
Felix constatò con soddisfazione. Metro su metro, ad ogni curva, i lampi
degli AK-47 si allontanavano; la pupa, cintura di sicurezza ben
allacciata, faceva le fusa sul grande sedile ricoperto di pelle, forse
umana, profumata come su nessuna automobile americana. Questo, l’agente
della CIA dovette ammetterlo, e gli spiacque.
Fuori dall’ovattato abitacolo, il traffico stava
diventando più fitto man mano che ci si avvicinava all’ingresso della M25,
e la grossa Jaguar faceva fatica a districarsi fra i furgoni Bedford e le
anziane Wolseley verdine. Maledizione, bestemmiò Felix fra i denti, queste
sono auto troppo grandi da portare in mezzo a questo traffico…. La grossa
berlina nera che li inseguiva aveva però gli stessi problemi, anche se
sopra agli specchietti retrovisori continuavano ad apparire dei piccoli
lampi. La pupa non fiatava, abbassava solo la testa quando si sentiva,
lontano, il latrato cavernoso di una .44, o il secco tac-tac-tac del
Kalashnikov. All’improvviso,
un furgone Astramax gli tagliò la strada. Felix piantò il suo pesante
piede destro sul freno, e dovette sterzare a sinistra più rapidamente che
potè. La Jaguar seguì i suoi comandi docile, una frenata composta che non
tradiva irritazione per quel maltrattamento. “Stupido bastardo!” bestemmiò
sottovoce Felix al conducente dell’Astramax, un giovane rasato a zero che
gli espose il dito medio dal finestrino e immediatamente dopo si buscò tre
pallottole di AK-47 fra finestrino e portiera. Meister non guardò neppure
il furgone che andava a ribaltarsi incendiandosi nell’aiuola centrale, a
lui premeva solo raggiungere lo svincolo della M25, e, con il piede destro
saldamente piantato a fondo corsa sull’acceleratore, ci si diresse.
L’ulteriore scatto in avanti della Jaguar lo sorprese
ancora; qui, con l’asfalto più asciutto, i cavalli di quella specie di
carrozza a reazione non erano addomesticati dal controllo di trazione,
finirono tutti in accelerazione. Felix sentì come una grande cortese mano
proiettarli in avanti, mentre la grossa berlina tedesca, dopo avere
schivato il furgone, si allontanava in distanza.
L’agente della CIA tenne il pedale giù, infilandosi a
tutta velocità su per il raccordo verso la M25. La stabilità era
eccellente, anche ‘appoggiando’ a tutta velocità su per lo stretto
svincolo; lo sterzo aveva mantenuto un buon feeling, guidare quell’auto
era un piacere. Aveva una
frazione di secondo libera, e la usò per guardare verso la sua preziosa
passeggera. Pamela si era comportata molto bene, forse non aveva capito
niente, oppure il comfort di bordo l’aveva tenuta calma….. ottimo, pensò
Felix Meister, l’ultima cosa che voleva a bordo era una pupa
schiamazzante. 120, 130
miglia all’ora, sull’autostrada poco trafficata la Jaguar stava
sgranchendosi quelle lunghe gambe, un po’ sacrificate fra le viuzze
dell’East End. Felix ascoltò con piacere il basso mormorio del V8, il
distante ronzio quasi elettrico del Roots, mentre il tachimetro saliva
verso 150 miglia orarie: i fari dietro di loro scomparvero, mentre la
lancetta, sulla scala europea del tachimetro, segnava 250 chilometri
orari. Con soddisfazione, Felix notò che nel retrovisore non c’erano fari
che mantenessero la stessa distanza dalla Jaguar, tutte le auto della M25
sembravano fuggire in retromarcia, quando le superavano.
Il telefono di bordo squillò, un trillo elegante,
appena accennato. Meister rimase un attimo sorpreso. Rispose. Era,
naturalmente, James. “Come
va il tuo contatto con l’umida Inghilterra, amico mio?” Felix rise, i suoi
azzurri occhi di ghiaccio si restrinsero a due fessure. “Umido? Per
qualche momento, Londra mi è sembrata secca e calda, molto calda… come
l’inferno. Ora tutto bene.”
“Sì, lo so”, disse la voce quasi annoiata dall’altra
parte. “Sei sulla M25, verso Nord-Ovest, stai facendo, diciamo, 155 miglia
all’ora. Se vai così forte vuol dire che non ti hanno sparato nel lunotto.
Proprio dei fessi.” Felix
iniziò “Ehi, come diavolo?…..”
“Satelliti, vecchio mio, una manciata di satelliti e
qualche buon amico…. a proposito, smetti di preoccuparti di quella berlina
nera. Un autobus ha cambiato ‘accidentalmente’ corsia circa tre minuti fa,
sulla M25…. Ci metteremo un po’ a raccogliere tutti i pezzi. Un
deprecabile incidente, s’intende, quattro gentiluomini della SMERSH
prematuramente deceduti…. i rischi del mestiere.”
Felix sogghignò. “Allora, game over?”
“Che brutti termini che usate,
alla CIA!” rise la voce all’altro telefono. “Fine dei giochi, sì. Piaciuta
l’auto?” Felix rise, stavolta, di gusto, allentando la tensione.
“Sì, e accidenti a te, maledetto
figlio di madre inglese! Pensavo fosse un carrozzone, invece è un razzo.
Comoda, anche, gran ferro. Ma potevi avvisarmi, quando hanno iniziato a
inseguirci credevo di non farcela.” Anche l’altro rise. “Mia madre era
scozzese, ignorante. Poi, avrei dovuto farti prendere un brevetto, prima
di darti quel razzo. Comunque, ora esci dalla M25, visto che sei alla A1.
Nessuno vi cerca, scendete verso il centro. Al ‘Chat Noir’ c’è un
tavolo per due, ed una bottiglia di Mouton Rotschild del ’53 che vi
aspetta in fresco. Buona serata, Felix, e buon divertimento.” Clik.
Per Meister, sapere che la berlina nera che gli stava
correndo dietro non esisteva più rappresentò la più grande gioia
possibile. Mollò l’acceleratore, e si stirò i muscoli che, naturalmente,
aveva contratto involontariamente fino ad allora.
Si rese improvvisamente conto dei due occhi blu che
lo stavano trapanando dal sedile del passeggero. Si voltò: Pamela
sorrideva. Il silenzio della Jaguar, ed il profumo della pelle Connolly,
li avvolse come un lenzuolo di complicità. In un sussurro, chiese “Fine
dei giochi? Davvero?” Felix sorrise, la Jaguar ora veleggiava a 85 miglia
all’ora, silenziosa, ubbidiente. “Dipende, pupa” disse, sterzando verso
una rampa d’uscita dalla M25 e verso il centro. “Conosco un localino dove
festeggiare l’operazione…..” Gli occhi della pupa approvarono, con un
tempestoso battito di ciglia e movimenti sospetti sotto al minivestito.
Forse il gioco migliore deve ancora iniziare,
pensò Felix. Battè un leggero colpo con il palmo delle mani sulla corona
del volante in pelle e legno, segno di aperta approvazione dell’auto. Quei
grandissimi figli di buona donna del Servizio, pensò Felix…. un grosso
motore con il compressore, dentro alla loro più lussuosa e costosa
berlina, ecco cosa mi hanno preparato. Ah, se fosse per me la metterei in
produzione, un’auto del genere…. sarebbe uno sballo, qualcosa
d’eccezionale. Come la potremmo chiamare, un oggetto del genere?
Vediamo….. Jaguar XJ… ‘R’? Come per ‘Racing’? O per ‘Rapida’, ‘Rauca’,
‘Ribelle’... Sì, ‘XJR’ suona bene, pensò Felix, parcheggiando la grossa
auto blu metallizzata davanti al ‘Chat Noir’.
Il gallonatissimo portiere aprì con deferenza la
portiera a Pamela. Entrando nel locale, Felix si voltò a guardarla ancora
una volta. Bellissima, intramontabile, elegante. La macchina, s’intende.
Ed anche velocissima, un missile. La prossima volta che torno, ne voglio
un’altra, pensò. Identica.
Stefano Pasini, Bologna, 2000 (Pubblicato
su 'Le Grandi Automobili')
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