Stefano Pasini

 


La storia della trazione 'Quattro'
 

 

C'era una volta un bravo e attento ingegnere tedesco addetto alle attività di sperimentazione tecnica della Audi… Tutte le belle favole iniziano così, no? Bene, un bel giorno quell’ingegnere prende un voluminoso fascicolo e chiede un appuntamento al Responsabile Tecnico della Casa, un altro giovane ingegnere meccanico che è anche membro del Consiglio di Amministrazione. La storia della trazione integrale Audi ‘quattro' inizia in quel giorno del 1977, quando Jorg Bensinger espone i risultati dei suoi test a Ferdinand Piëch. Ne viene fuori un dato, bene avvalorato da misure e test, a dir poco sorprendente: la Volkswagen ‘Iltis’, angoloso veicolo militare piuttosto semplice ma dotato di trazione integrale permanente sulle quattro ruote, batte infatti agevolmente sui terreni più difficili come neve, fango e piogge intense, le automobili sportive più potenti e blasonate. Bensinger ovviamente sa bene che dall'altra parte del tavolo ha l'interlocutore giusto per queste osservazioni, uno che ha la trazione integrale ingranata profondamente nel suo patrimonio genetico.

Il nonno del Direttore Tecnico dell'Audi si chiamava infatti Ferdinand Porsche, e già nel 1900 proponeva la sua automobile elettrica Lohner-Porsche, a Vienna, con quattro ruote motrici (già che c'era, anche sterzanti), poi aveva costruito i trattori militari a trazione ibrida integrale per le artiglierie del Kaiser e quindi aveva progettato le formidabili Auto Union da Grand Prix. Quel Direttore Tecnico dell'Audi nel 1977 è Ferdinand Karl ‘Burli’ Piëch, figlio di Louise Porsche e dell’avvocato viennese Anton Piëch, nato nel 1937, l'anno in cui Adolf Hitler ordina al nonno di abbandonare le Auto Union da Grand Prix per dedicarsi a qualcosa di infinitamente più importante per il Drittes Reich, la colossale impresa tecnico-industriale della Kraft-durch-Freude-Wagen di Fallersleben, quella che oggi conosciamo come la Volkswagen di Wolfsburg. 'Burli' alla fine della guerra è ancora piccolo, ma nel 1947 vede sicuramente passare per casa, sotto l'occhio attento dell'inflessibile mamma Louise Porsche, i disegni della Cisitalia ‘360’ a trazione integrale da Grand Prix (molto probabilmente nata in epoca prebellica come una sorta di ‘super-Auto Union’ per le stagioni 1940-1941) che lo zio Ferry cede all'industriale italiano Piero Dusio per ricavarne il denaro necessario a liberare il professor Ferdinand e lo stesso Anton Piëch dalle galere francesi. La trazione integrale di quella Auto Union-Cisitalia è formidabile, complessa, ovviamente tutta meccanica, straordinariamente affascinante; è il pinnacolo della tecnologia automobilistica da corsa dell'epoca, ma è anche tanto complessa e intricata da non potere avere seguito in quel momento storico.

Dunque Ferdinand Piëch è cresciuto in un ambiente dove la trazione integrale gode di ampia considerazione, si è laureato in ingegneria meccanica all’ETH di Zurigo, è entrato alla Porsche dove, a soli 29 anni, ha buttato per aria quello che fino a quel momento era un piccolo ‘Rennabteilung’ dedito in pratica solo alle classi minori. Qui ha potuto perseguire una sua altra ossessione, la ricerca della leggerezza a ogni costo, e così Piëch fa nascere dall’oggi al domani le Porsche ‘di plastica’, le 908/03 ‘bicicletta’, le 917 'Kurzheck', tutte piene di alluminio e magnesio ovunque, che montano persino preziosi dischi freni in berillio. Con la spinta continua, feroce di Piëch la Porsche in pochi anni vince tutto, il Campionato Mondiale Marche e soprattutto la preda più ambita, la 24 ore di Le Mans. Nel 1972, uscito da Zuffenhausen, Ferdinand Piëch mette su il suo studio personale di engineering per conto terzi, come aveva fatto il nonno. Il primo lavoro è un motore per la Mercedes-Benz a cinque cilindri, una configurazione che ritroveremo più avanti.

Nel frattempo è cresciuta, e parecchio, anche l’Audi. Certo, non è più l'Auto Union prebellica di Chemnitz e Zwickau; quella è stata cancellata nel 1945 per la stessa tardiva vendetta storica per la quale gli occupanti russi, dopo la fine della guerra, fecero saltare il Castello degli Hohenzollern e tante altre cose a Berlino e nella limitrofa Sassonia. La Auto Union rinasce dalle sue ceneri nel 1949 nella bavarese Ingolstadt, nel 1958 la compra la Mercedes-Benz costruendo nuovi impianti che poi vengono acquistati a poco prezzo, nel 1964, dalla risorgente Volkswagen di Heinz Nordhoff, uno degli artefici del clamoroso ‘Wirtschaftwunder’ della Germania postbellica. Il granitico Nordhoff, che ha bisogno di quelle fabbriche per aumentare la produzione del sempre richiestissimo Käfer, vorrebbe mettere una pietra sopra alle ambizioni tecniche della Casa e proibisce espressamente a Ingolstadt di prendere qualsiasi ‘iniziativa’. I tecnici dell'Audi sentono invece l’orgoglio di essere eredi della scuola che produsse le più innovative delle ‘Silberpfeil’, ed è con un vero e proprio colpo di mano che alcuni ingegneri sviluppano di nascosto il prototipo dell'Audi ‘100’.  Il successo di questo modello fa sì che Audi diventi poco per volta il cervello tecnico alternativo e progressista all’interno del monolito VW, che invece vede passato, presente e futuro incarnati nel sempiterno ‘Maggiolino’. A Ingolstadt si guarda oltre; ai tecnici dell’Audi l’arrivo di Ferdinand Piëch amplia un orizzonte tecnico già straordinario.

Quando Bensinger presenta a Piëch i risultati delle sue prove sulla ‘Iltis’, nella mente di quest’ultimo vanno in un attimo al loro posto i mille tasselli che aveva visto accumularsi nel corso della sua vita. Prende dunque forma, nella sua testa, l'idea di creare una nuova immagine dell'Audi tutta incentrata attorno alla trazione integrale, subito denominata, con concisione fulminea, ‘quattro’, (la ‘q’ è da sempre minuscola.)

 L’aggressiva 'Audi quattro' presentata nel 1980 a Ginevra è ciò che ci vuole per lanciare l'immagine dell’Audi su scala mondiale fornendo ai clienti qualcosa di diverso dalla concorrenza, creando uno straordinario strumento per le competizioni internazionali sui terreni difficili, una forte identità di marca e affermando una volta per tutto la figura di Piëch come innovatore tecnico a tutto tondo. Quella prima spettacolare ‘quattro’ del 1980 ha la trazione integrale permanente con blocco centrale, il motore cinque cilindri che è da sempre un'idea fissa di Piech, c'è la sovralimentazione di cui maestro era il nonno Ferdinand, c'è la passione potente, inarrestabile per le competizioni che parte integrante della filosofia di tutto il mondo Porsche. Ma anche la volontà di dare a più clienti possibili i vantaggi della trazione integrale, perchè, come diceva Henry Ford, “...c'è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti”.

Il sistema ‘quattro’ crea immediatamente una incredibile sensazione mondiale e lancia definitivamente l'Audi, fino a quel momento un po' la Cenerentola della grande mamma Volkswagen, in un firmamento a parte, verso i grandi successi che tutti conosciamo. E tutti vissero felici e contenti...

 


(Pubblicato su 'Quattroruote' n. ** 2015)
 

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