La storia della trazione 'Quattro' |
C'era una volta un bravo e
attento ingegnere tedesco addetto alle attività di sperimentazione tecnica
della Audi… Tutte le belle favole iniziano così, no? Bene, un bel giorno
quell’ingegnere prende un voluminoso fascicolo e chiede un appuntamento al
Responsabile Tecnico della Casa, un altro giovane ingegnere meccanico che
è anche membro del Consiglio di Amministrazione. La storia della trazione
integrale Audi ‘quattro' inizia in quel giorno del 1977, quando Jorg
Bensinger espone i risultati dei suoi test a Ferdinand Piëch. Ne viene
fuori un dato, bene avvalorato da misure e test, a dir poco sorprendente:
la Volkswagen ‘Iltis’, angoloso veicolo militare piuttosto semplice ma
dotato di trazione integrale permanente sulle quattro ruote, batte infatti
agevolmente sui terreni più difficili come neve, fango e piogge intense,
le automobili sportive più potenti e blasonate. Bensinger ovviamente sa
bene che dall'altra parte del tavolo ha l'interlocutore giusto per queste
osservazioni, uno che ha la trazione integrale ingranata profondamente nel
suo patrimonio genetico.
Il nonno del Direttore
Tecnico dell'Audi si chiamava infatti Ferdinand Porsche, e già nel 1900
proponeva la sua automobile elettrica Lohner-Porsche, a Vienna, con
quattro ruote motrici (già che c'era, anche sterzanti), poi aveva
costruito i trattori militari a trazione ibrida integrale per le
artiglierie del Kaiser e quindi aveva progettato le formidabili Auto Union
da Grand Prix. Quel Direttore Tecnico dell'Audi nel 1977 è Ferdinand Karl
‘Burli’ Piëch, figlio di Louise Porsche e dell’avvocato viennese Anton
Piëch, nato nel 1937, l'anno in cui Adolf Hitler ordina al nonno di
abbandonare le Auto Union da Grand Prix per dedicarsi a qualcosa di
infinitamente più importante per il
Drittes Reich, la colossale impresa tecnico-industriale della
Kraft-durch-Freude-Wagen di Fallersleben, quella che oggi conosciamo
come la Volkswagen di Wolfsburg. 'Burli' alla fine della guerra è ancora
piccolo, ma nel 1947 vede sicuramente passare per casa, sotto l'occhio
attento dell'inflessibile mamma Louise Porsche, i disegni della Cisitalia
‘360’ a trazione integrale da Grand Prix (molto probabilmente nata in
epoca prebellica come una sorta di ‘super-Auto Union’ per le stagioni
1940-1941) che lo zio Ferry cede all'industriale italiano Piero Dusio per
ricavarne il denaro necessario a liberare il professor Ferdinand e lo
stesso Anton Piëch dalle galere francesi. La trazione integrale di quella
Auto Union-Cisitalia è formidabile, complessa, ovviamente tutta meccanica,
straordinariamente affascinante; è il pinnacolo della tecnologia
automobilistica da corsa dell'epoca, ma è anche tanto complessa e
intricata da non potere avere seguito in quel momento storico.
Dunque Ferdinand Piëch è
cresciuto in un ambiente dove la trazione integrale gode di ampia
considerazione, si è laureato in ingegneria meccanica all’ETH di Zurigo, è
entrato alla Porsche dove, a soli 29 anni, ha buttato per aria quello che
fino a quel momento era un piccolo ‘Rennabteilung’
dedito in pratica solo alle classi minori. Qui ha potuto perseguire una
sua altra ossessione, la ricerca della leggerezza a ogni costo, e così
Piëch fa nascere dall’oggi al domani le Porsche ‘di plastica’, le 908/03
‘bicicletta’, le 917 'Kurzheck', tutte piene di alluminio e
magnesio ovunque, che montano persino preziosi dischi freni in berillio.
Con la spinta continua, feroce di Piëch la Porsche in pochi anni vince
tutto, il Campionato Mondiale Marche e soprattutto la preda più ambita, la
24 ore di Le Mans. Nel 1972, uscito da Zuffenhausen, Ferdinand Piëch mette
su il suo studio personale di engineering per conto terzi, come
aveva fatto il nonno. Il primo lavoro è un motore per la Mercedes-Benz a
cinque cilindri, una configurazione che ritroveremo più avanti.
Nel frattempo è cresciuta, e
parecchio, anche l’Audi. Certo, non è più l'Auto Union prebellica di
Chemnitz e Zwickau; quella è stata cancellata nel 1945 per la stessa
tardiva vendetta storica per la quale gli occupanti russi, dopo la fine
della guerra, fecero saltare il Castello degli Hohenzollern e tante altre
cose a Berlino e nella limitrofa Sassonia. La Auto Union rinasce dalle sue
ceneri nel 1949 nella bavarese Ingolstadt, nel 1958 la compra la
Mercedes-Benz costruendo nuovi impianti che poi vengono acquistati a poco
prezzo, nel 1964, dalla risorgente Volkswagen di Heinz Nordhoff, uno degli
artefici del clamoroso ‘Wirtschaftwunder’ della Germania postbellica. Il granitico Nordhoff,
che ha bisogno di quelle fabbriche per aumentare la produzione del sempre
richiestissimo Käfer, vorrebbe
mettere una pietra sopra alle ambizioni tecniche della Casa e proibisce
espressamente a Ingolstadt di prendere qualsiasi ‘iniziativa’. I tecnici
dell'Audi sentono invece l’orgoglio di essere eredi della scuola che
produsse le più innovative delle ‘Silberpfeil’,
ed è con un vero e proprio colpo di mano che alcuni ingegneri sviluppano
di nascosto il prototipo dell'Audi ‘100’.
Il successo di questo modello fa sì che Audi diventi poco per volta
il cervello tecnico alternativo e progressista all’interno del monolito
VW, che invece vede passato, presente e futuro incarnati nel sempiterno
‘Maggiolino’. A Ingolstadt si guarda oltre; ai tecnici dell’Audi l’arrivo
di Ferdinand Piëch amplia un orizzonte tecnico già straordinario.
Quando Bensinger presenta a
Piëch i risultati delle sue prove sulla ‘Iltis’, nella mente di
quest’ultimo vanno in un attimo al loro posto i mille tasselli che aveva
visto accumularsi nel corso della sua vita. Prende dunque forma, nella sua
testa, l'idea di creare una nuova immagine dell'Audi tutta incentrata
attorno alla trazione integrale, subito denominata, con concisione
fulminea, ‘quattro’, (la ‘q’ è da sempre minuscola.)
L’aggressiva 'Audi quattro'
presentata nel 1980 a Ginevra è ciò che ci vuole per lanciare l'immagine
dell’Audi su scala mondiale fornendo ai clienti qualcosa di diverso dalla
concorrenza, creando uno straordinario strumento per le competizioni
internazionali sui terreni difficili, una forte identità di marca e
affermando una volta per tutto la figura di Piëch come innovatore tecnico
a tutto tondo. Quella prima spettacolare ‘quattro’ del 1980 ha la trazione
integrale permanente con blocco centrale, il motore cinque cilindri che è
da sempre un'idea fissa di Piech, c'è la sovralimentazione di cui maestro
era il nonno Ferdinand, c'è la passione potente, inarrestabile per le
competizioni che parte integrante della filosofia di tutto il mondo
Porsche. Ma anche la volontà di dare a più clienti possibili i vantaggi
della trazione integrale, perchè, come diceva Henry Ford, “...c'è vero
progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per
tutti”.
Il sistema ‘quattro’ crea
immediatamente una incredibile sensazione mondiale e lancia
definitivamente l'Audi, fino a quel momento un po' la Cenerentola della
grande mamma Volkswagen, in un firmamento a parte, verso i grandi successi
che tutti conosciamo. E tutti vissero felici e contenti...
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(Pubblicato su 'Quattroruote' n. ** 2015) |
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